domenica 24 agosto 2014

Icone di Ieri: John Williams

Attore bravissimo e simpatico, che ha preso parte a molti film di successo del recente passato cinematografico, John Williams poveretto non lo conosce quasi nessuno.


Inglese, classe 1903, esordisce a soli 13 anni, nei teatri inglesi, poi, ventenne, si trasferisce negli Stati Uniti e lavora a Brodway. Qualche tempo dopo, al principio degli anni '30, inizia anche a lavorare nel cinema.
La filmografia di Williams è abbastanza vasta, nonostante fosse principalmente un attore di teatro, ma sul grande schermo è ricordato principalmente per cinque pellicole, nelle collaborazioni con due grandi della regia che seppero sfruttare bene il suo talento e la sua plasticità nella recitazione: Billy Wilder e Alfred Hitchcock.

Il primo film veramente importante di John Williams è ,infatti, Il Caso Paradine, di Hitchcock, nel 1947.
Il protagonista del film è Gregory Peck, l'avvocato che deve difendere la signora Paradine (Alida Valli) dall'accusa di avere ucciso il marito. Qua Williams interpreta il personaggio di Barrister Collins. Del film si è già parlato, a proposito della carriera di Charles Laughton, che interpreta in questo caso il giudice Horfield, e che lavorerà con Williams anche nel già citato Testimone d'Accusa, dove stavolta Laughton è l'avvocato difensore e Williams il suo aiuto, l'avvocato Brogan-Moore.
Le due produzioni furono spesso paragonate per via delle trame, tanto che Hichcock raccontava: "Spesso ho avuto modo di incontrare molti ammiratori che si complimentavano per Testimone d'accusa, credendo che l'avessi diretto io. Quando lo feci notare a Wilder, egli mi disse che molti ammiratori si complimentavano con lui per Il caso Paradine, credendo che lo avesse diretto lui."
I due film sono però distanziati da dieci anni e nel mentre John Williams divenne sempre più conosciuto e apprezzato: se nel film del '47 il suo personaggio è quasi dimenticato, il ruolo di collaboratore della difesa nel film del '57 già lo vede in primo piano.
In quei dieci anni Williams lavorò ancora con Wilder in Sabrina (1954), interpretando il padre della giovane, l'autista di casa Larrabee, e con Hitchcock prima ne Il delitto perfetto (lo stesso anno) e poi in Caccia al ladro (l'anno successivo).
Il Delitto Perfetto è la riproduzione che Hitchcock fece dell'omonima pièce di Frederick Knott, andata in scena a Londra e Brodway. Ambientato, come solo Hitch riusciva a fare, praticamente in un'unica stanza, è la storia di un marito (Ray Milland) che assolda un killer (Anthony Dawson) per uccidere la moglie (Grace Kelly), che intende lasciarlo per un altro uomo (Robert Cummings); ma le cose vanno non secondo i piani e la donna riesce invece ad afferrare un paio di forbici e a difendersi, uccidendo l'aggressore. Quando il marito torna a casa e scopre l'accaduto, riesce a tenere lontana la moglie dalla scena del crimine e fabbricare alcune prove false, volte a smentire la tesi della legittima difesa, prima dell'arrivo della polizia. Ma il bravo ispettore Hubbard (il nostro Williams, che aveva avuto la stessa parte anche nello spettacolo di Brodway, grazie alla quale aveva vinto l'anno prima il Tony Award) intuisce che qualcosa non torna e riesce, grazie alla collaborazione dell'amante della donna, a dimostrare la verità.
Capolavoro Hitchcockiano, è il film in cui Williams ha più campo e visibilità. Fu anche uno dei pochi film che il regista inglese girò in stereoscopia (l'antenata del 3D, aspirazione del cinema da quando è nata la televisione, poiché sarebbe stata un'escusiva del grande schermo, una possibilità di concorrenza). Hitch non amava il formato stereoscopico, ma lo sfruttò con abilità per una scena davvero ingegnosa: fece installare una telecamera in una buca della stanza in modo da riprendere da altezza pavimento nella scena in cui il marito coprendo col corpo il cadavere del killer alla vista della moglie è intento a nascondere una prova importante.


In Caccia al Ladro, John Williams è Henry H. Hughson, l'agente assicurativo che contatta John Robbie e gli fornisce i nominativi delle donne con i più costosi gioielli della Costa Azzurra, aiutandolo poi a più riprese a dimostrarsi innocente. Divertenti i siparietti con Grant: la scena del mercato dei fiori, la colazione, con lo scambio di battute sulla cuoca e sulle speculazioni assicurative, le scene dell'albergo, quando l'assicuratore regge il gioco a Robbie, che si spaccia per ricco americano davanti alle due Stevens, mentre cerca di studiare le mosse del nuovo Gatto.

  

Poiché i film citati valgono davvero la pena di essere visti, consiglio a chi legge la loro visione e la conoscenza di John Williams, che sa essere un intrattenitore davvero piacevole.

venerdì 15 agosto 2014

Icone di ieri: Hollywood piange cinque grandi scomparse

Dopo la notizia del giorno prima, del suicidio di Robin Williams, impiccatosi con una cintura a 63 nella sua casa in California, il 13 mattina ginge quella della scomparsa anche della quasi novantenne Lauren Bacall, a causa di un ictus.
Anche se la maggioranza dei miei coetanei non la conosce, Lauren Bacall ha ampiamente contribuito a fare la storia del cinema.

Nasce a New York da genitori ebrei, provenienti dall'europa dell'est. Esordisce presto nel mondo dello spettacolo: prima modella, poi, notata dal regista Howard Hawks per la sua bellezza, a 19 anni attrice, a fianco addirittura di Humprey Bogart, divo del momento, in Acque del Sud del 1944.
Pur avendo lui 44 anni, cioè venticinque più della Bacall, i due attori si innamorano. Ma sul serio: si sposano l'anno successivo, hanno due figli e restano insieme fino alla morte dell'attore, avvenuta dodici anni dopo, rimanendo nell'immaginario collettivo come una delle più belle coppie di tutti i tempi, immortalati per sempre nei film girati assieme (Il grande sonno, La fuga, L'isola di corallo). Anche se si risposò negli anni '60, con Jason Robards, dal quale avrà un figlio, Lauren Bacall ha sempre affermato che Bogart è stato l'unico amore della sua vita.
Altri film dell'attrice sono La donna del destino, con Gregory Peck, Assassinio sull'Orient Express, del '74, di Sidney Lumet, ottimo adattamento del giallo di Agatha Christie, con un cast strepitoso e L'Amore ha due facce di Barbara Streisand, che le valse una nomination all'Oscar, non vinto. Questo le fu invece attribuito nel 2010, come oscar alla carriera


Dall'inizo del 2014 le morti che si possono leggere su Wikipedia sono moltissime, anche di attori, attrici, registi del cinema di tutto il mondo.
Abbiamo ricordato la morte per overdose di Philip Seymour Hoffman, del 2 febbraio, commemorata per altro nella cerimonia dei BAFTA del 16 febbraio.
Abbiamo parlato delle scomparse di Robin Williams e Lauren Bacall in questi giorni.
Quest'anno ci hanno lasciato altri due grandi miti: Bob Hoskins, che aveva 71 anni quando lo ha stroncato una polmonite il 29 aprile, ed Eli Wallach, che è morto il 24 giugno a 98 anni.
Le immagini di questi due attori, ottimi caratteristi, sono strettamente legate entrambe a due personaggi in particolare: per Bob si tratta dell'investigatore Eddie Valiant in Chi ha incastrato Roger Rabbit?, mentre per Eli del personaggio del Brutto, Tuco, nel leoniano Il buono, il brutto e il cattivo, western in cui affianca Clint Eastwood e Lee Van Clif.


Hoskins era un attore di formazione teatrale, inglese, che ha saputo rivestire ruoli assai diversi: il malvivente di Mona Lisa (1986), che lo candidò all'Oscar e gli fece vincere BAFTA e Golden Globe; Spugna in Hook, recitato con Robin Williams e Dustin Hoffman; il direttore artistico in Lady Henderson presenta, per il quale è candidato a un secondo Golden Globe; Super Mario nel film che è l'adattamento del celebre videogioco; e ancora interpreta Berija, il capo della polizia segreta russa, J. Edgar Hoover, Chruščëv; per la televisione italiana diventa Giovanni XXIII, Benito Mussolini e Geppetto nel Pinocchio di Sironi.
Dal buono al cattivo, dal tragico al comico Bob Hoskins tenta tutto con grande flessibilità.
Ci prova anche come doppiatore: l'orsacchiotto Teddy in Teddy e Annie e nel suo sequel, Boris l'oca in Balto, il cane Winston in Garfield 2.
Rinuncia alle scene nel 2012, quando scopre di essere affetto dal morbo di Parkinson.

Wallach nasce e muore a New York. La sua formazione avviene presso l'Actor Studio, il celebre laboratorio artistico che fondò il regista Elia Kazan e che adottava il metodo Stanislavskij, l'approccio al personaggio partendo dalla sua analisi psicologica. Curiosamente Wallach condivide con Lauren Bacall le origini ebree e polacche, la nascita a New York, la frequentazione di questa scuola e un Oscar alla carriera, che a lui viene attribuito nel 2011.
Interpretò I magnifici sette Gli spostati, La Conquista del West, Come rubare un milione di dollari e vivere felici, I quattro dell'Ave Maria, Il padrino - Parte III; in anni più recenti: Mystic River di Eastwood, L'amore non va in vacanza, L'uomo nell'ombra, Wall Street - Il denaro non dorme mai.
Compare anche in televisione: La signora in giallo, Alfred Hitchcok presenta, ER e altri. Esce di scena nel 2010, a 85 anni.

Ecco: cinque scomparse memorabili quest'anno.
Altre ce ne sono state l'anno scorso, quello prima...passano gli anni e, come è logico, gli attori e le attrici se ne vanno, come tutti. Possiamo seguire le loro vite da lontano, tramite i giornali, internet, i film; possiamo rallegrarci dei loro successi e dispiacerci della loro perdita e dopo la loro morte alcuni li rimpiangeremo, ma continueremo ad apprezzarli riguardandoli in vhs o dvd. E diventeranno immortali.

giovedì 14 agosto 2014

Addio, amico di tutti

In questi giorni, in queste ore ognuno sta dando il suo addio a Robin Williams. Ciascuno a suo modo ricorda uno dei più amati attori di tutti i tempi.
Scriviamo post, ricordiamo citazioni, guardiamo i suoi film, carichiamo foto.
Quasi non esiste qualcuno che, oggigiorno, non lo conoscesse, non avesse visto un suo film, non lo adorasse.
Era parte delle nostre vite: ne faceva parte senza che ce ne rendessimo conto. Era un ricordo di infanzia, era un idolo, era il nostro attore preferito, esisteva una sua immagine in ognuna delle nostre menti, perché le cose belle non si dimenticano e nessuno poteva scordarsi il suo volto o la sua voce dopo averne visto un film, mai più. Quegli occhi azzurri, in cui potevi leggere l'onestà, la gentilezza, l'altruismo, il naso lungo, la bocca sottile erano e sono scolpiti nella memoria. La sola apparizione di quel viso garantiva un sorriso: oh, c'è Robin, questo film sarà sicuramente divertente!

Questo piccolo post è il mio modo per ricordarlo e dirgli addio: è uguale a quello che avranno scritto molti altri suoi fan, ma tutti noi sentiamo necessario esternare il dispiacere sincero che ci ha avvolto quando ci è arrivata la notizia. Lui era unico e unico è il dolore che proviamo per aver perso il suo talento, il suo umorismo, la sua persona gentile. Non è un lutto come gli altri: non è prendere atto che un grande attore ci ha abbandonati perché è inevitabile che tutti -noi comuni anonimi e loro stelle dello spettacolo- se ne vadano.
Questa perdita ci ha coinvolti di più. Lui non poteva passare indifferente. Alla notizia della sua morte non era ammissibile sentire qualcuno domandare chi fosse, che film avesse fatto. Era come un vecchio amico. Era amico di tutti noi pubblico.
Robin Williams era i mille volti di un uomo normale, simpatico sopra la media naturalmente. Era sempre un eroe sul grande schermo, come Gregory Peck, come John Wayne, ma degli anni 2000.
E la sua tragedia, quella di un uomo amato, anche da chi non lo conosceva, risulta ancora più grande. Inconcepibile che l'uomo che ci ha fatti tanto ridere, emozionare fosse arrivato a un punto di depressione così grande da spingerlo a togliersi la vita.

Non mi ripropongo di ripercorrere la sua lunga carriera, che in fondo è ben nota e per altro descritta su Wikipedia o su qualsiasi articolo uscito in questi giorni.
Vorrei condividere piuttosto i momenti più belli che mi ha personalmente regalato, quegli spezzoni che mi hanno commosso o divertita di più, i film che sono stati per me i più importanti e i più belli.


L'altra sera Canale 5 riproponeva Patch Adams in seconda serata. In primo luogo mi ha fatto uno strano effetto nostalgico vedere recitare assieme Robin e Philip Seymour Hoffman e pensare che questi due meravigliosi geni della recitazione ci hanno lasciato entrambi quest'anno in due modi uno più triste e misero dell'altro.
In secondo luogo mi sono ricordata che questo film fu una vera ispirazione, quando altre motivazioni non c'erano, a spingermi avanti nel mio personale percorso universitario, che per l'appunto prende corpo nella facoltà di medicina. In particolar modo il discorso finale che Patch-Robin rivolge ai suoi "giudici" ricalca quello che secondo me davvero dovrebbe essere lo spirito di un medico, la vocazione umanitaria a salvaguardare il suo paziente dalla tristezza e dal degrado, prima di tutto; questo discorso quindi mi emoziona in modo particolare.


Un volto che a Robin Williams si fa fatica ad attribuire è quello del cattivo. Ma nel suo folto repertorio ci sono alcuni ruoli noir, che, grazie alla sua versatilità, ha svolto in modo estremamente credibile:  l'assassino Walter Finch in Insomnia, di Cristopher Nolan; l'instabile Sy Parrish di One Hour Photo, film veramente ben fatto, degno di un Hitchcock, e che mi ha davvero elettrizzata; l'ambiguo Jakob il bugiardo.


Il mio film preferito, però, nella lunga carrellata di film che costituiscono la sua carriera, è Mrs Dubtfire, di Chris Columbus, regista con cui girò anche l'Uomo Bicentenario, perla di dolcezza, che pure ha diritto a un posto tra i miei preferiti.
Tutti sanno di cosa si tratta: la storia commovente di un padre, un po' irresponsabile, ma enormemente innamorato dei suoi figli, tanto da elaborare lo stratagemma di camuffarsi da anziana tata per poterli vedere e stare con loro. è un film magnifico, come molti di quelli firmati Columbus, ricco di gag esilaranti e di momenti così emozionanti da continuare a strapparmi lacrime ogni volta che lo rivedo.


I video più condivisi nelle ultime ore sono indubbiamente il discorso che Robin Williams rivolge, nei panni di psicologo-mentore, a Matt Demon, in Good Will Hunting, che gli valse l'oscar come migliore attore non protagonista nel 1998 e il celebre "Capitano, mio capitano" che gli studenti rivolgono al professor Keating ne L'Attimo Fuggente.


Non può sentirci, non può leggerci, ma, se potesse farlo, forse anche lui ci direbbe "grazie figlioli di dimostrare quanto sono stato importante per voi con il mio lavoro, quanto mi avete amato e continuate a farlo". Poiché una cosa è certa: che nei nostri cuori, Robin Williams vivrà per sempre.

domenica 10 agosto 2014

Viaggio nel mondo Disney: Maleficent

Colgo l'occasione, dopo aver rivisto e ricordato  "La Bella Addormentata nel Bosco", per parlare del successo  "Maleficent", uscito nelle nostre sale il 28 maggio 2014.


Appena lanciato il trailer, lo scorso novembre, l'attesa per questo film fu altissima.
La curiosità di vedere Angelina Jolie recitare un personaggio tanto negativo nella letteratura fiabesca, immensa. E il successo di botteghino è stato infatti strepitoso.
Maleficent è la revisione della classica storia della Bella Addormentata dal punto di vista della cattiva. Tale e tanto il carisma che Disney seppe infondere alla sua Malefica, da spingere i produttori Disney in questa curiosa avventura.
Il film vuole riscattare il personaggio, costruirgli un passato, conferirgli uno spessore sentimentale che ne giustificasse l'agire. Insomma tanta eleganza, tanto fascino, tanto savoir fare e pure tanta sottile ironia non potevano assolutamente appartenere alle "Forze del Male".
Così si decide di fraintendere il personaggio, si stabilisce che, necessariamente, Malefica deve essere una buona, convertita in vendicativa furia da un tradimento subito nel suo oscuro passato. E si sceglie per interpretarla un'attrice adorata dalle folle, bellissima, elegante, buona e brava, che forse ricalca anche nella sua vita privata il percorso che i produttori hanno pensato per Maleficent (da irrequieta ribelle a madre devota ai figli, suoi e adottati, ambasciatrice umanitaria).

La storia, raccontata dalla Bella Addormentata stessa, inizia nell'infanzia della protagonista.
Nella storia ci sono due regni confinanti, quello degli uomini, assetati di potere, governati da un re, e quello di magiche creature che vivono in armonia, senza necessità che siano governati da nessuno. Una di queste creature magiche alate è Malefica, destinata a diventare la più forte tra queste creature, in virtù delle sue potenti ali, e la Guardiana a difesa del regno.
Ancora ragazzina, spensierata, buona, felice, incontra Stefano, orfano povero, introdottosi dal regno degli uomini a quello delle creature magiche per rubare una pietra. Ma, restituita indietro la pietra, guadagna la simpatia di Malefica. I due diventano amici e, col passare del tempo s'innamorano. A 16 anni si scambiano quello che Malefica considera "un vero bacio d'amore".
Ma crescendo le cose cambiano. Si allontanano. Malefica non ha più notizie di Stefano, preso anch'esso dalle ambizioni degli uomini, servitore del re. Intanto anche la giovane fata è occupata nella difesa del regno, che il re degli uomini tenta invano di attaccare, sempre respinto dalla Guardiana e dalle creature che combattono insieme a lei. Il re degli uomini, ferito a morte in una battaglia, promette di lasciare il suo regno e la figlia a colui in grado di uccidere la Guardiana. Stefano, acciecato dall'ambizione, sebbene combattuto dal legame che lo aveva unito a Malefica nel passato, torna a farsi vivo con lei allo scopo di ucciderla per ottenere il trono. L'avvicina con la scusa di volerla avvertire e, riguadagnata la sua fiducia dopo gli anni di separazione, la fa addormentare. Solo uno scrupolo dell'ultimo momento lo ferma dall'ucciderla. Decide però di neutralizzarla: le taglia le ali e le porta via con sé per provare al re la sua impresa. Alla morte di quest'ultimo, ne sposa la figlia e diventa re.
Dal canto suo Malefica, al risveglio, si vede tradita, ingannata, ferita gravemente dall'amputazione delle due ali che la indebolisce, tanto da costringerla a utilizzare un bastone come sostegno. Scatta dentro di lei un cambiamento forte: perduta ogni fiducia nel prossimo, scurisce il suo cuore e costruisce una barriera tra questo e il mondo, tra il regno delle fate e quello degli uomini. Salva un corvo da un cacciatore, lo trasforma in uomo e gli propone di servirla per sdebitarsi: Fosco, tramutato all'occasione in uomo o in qualunque altra bestia, diviene suo unico alleato. Col bastone e il corvo, Angelina Jolie, già truccata alla perfezione, incarna veramente la strega del cartone, sprigionando un fascino incredibile e restituendo pienamente l'immagine della disneyana Malefica.


Avvolta dall'odio e dal risentimento, Malefica altera l'equilibrio del regno fatato in cui ora viene temuta e rispettata come una regina. Le cose si complicano alla nascita della figlia di Stefano. Dalla rabbia e dalla gelosia nasce un desiderio di vendetta.
Ricongiungendosi alla versione conosciuta, Malefica si presenta alla festa per il battesimo di Aurora, lamentando l'omissione di un invito per lei. Ricalcando fedelmente la scena del cartone del 1959, la sua venuta interrompe la formulazione dei doni da parte delle tre buone fate, qua chiamate Fiorina, Giuggiola e Verdelia. Malefica coglie l'opportunità per lanciare a sua volta il suo incantesimo, ricalcando quasi parola per parola la profezia del cartone:
“La principessa, invero, crescerà in grazia e bellezza, tutti quelli che la conoscono la ameranno. Ma, prima che il sole tramonti sul suo sedicesimo compleanno, ella si pungerà il dito con il fuso di un arcolaio e cadrà in un sonno simile alla morte.”

Malefica precisa che nessuna forza "di questo mondo" potrà annullare l'incantesimo tranne, aggiunge sprezzante dopo essere stata supplicata da Stefano, "il bacio del vero amore" che lei, ormai, non crede possa esistere, scartando di fatto la possibilità che possa essere annullato il maleficio.


Sempre secondo copione, Stefano ordina il sequestro di tutti gli arcolai del regno, da rinchiudere nel castello, al sicuro, e consegna la figlia alle tre fate presenti al battesimo affinché la tengano nascosta fino al giorno dopo il compimento dei 16 anni.
L'aderenza alla fiaba classica finisce qua. A differenza di quanto ricordavamo dai ricordi d'infanzia, le tre fate non sono affatto capaci di crescere la bambina: distratte, imbranate, pasticcione, inaffidabili e per niente simpatiche, rischiano di fare morire la bambina di fame o di freddo. Paradossalmente è Malefica a sorvegliare la situazione e a impietosirsi, tanto da cominciare a correggere gli errori delle fate e a controllare a piccola distanza la crescita di Aurora, assicurandosi che cresca bene. Manco a dirlo, le si affeziona.
Poco tempo prima che compia sedici anni Malefica porta Aurora nel regno fatato al di là della barriera da lei stessa costruita. Non si rivela alla ragazza come colei che le ha inflitto un maleficio mortale, le lascia invece credere di essere la sua fata madrina, convinzione che la ragazza nutre, ricordando come la sua caratteristica ombra l'ha accompagnata fin da quando era piccola. La ragazza le dimostra a sua volta una simpatia e un attaccamento che la inducuno a tentare di annullare l'incantesimo, dimenticandosi però che nella sua stessa formulazione lei stessa lo ha reso impossibile da parte di una forza qualsiasi di questo mondo.
Avvicinandosi il giorno del sedicesimo compleanno cresce l'ansia di Malefica, che sa che non può nulla per evitare il destino che aspetta Aurora e che lei stessa le ha procurato.
Intanto re Stefano, torturato da rimorsi, fantasmi del passato, ansie del presente, in questi anni ha perso completamente la ragione. Ossessionato dal pensiero che la figlia morirà per opera di Malefica e che si renderà sicuramente necessario uno scontro, passa i mesi pianificando attacchi e controattacchi contro Malefica.
Giunto il compleanno di Aurora, la principessa incontrerà il principe Filippo (che non ha niente del valoroso cavaliere disneyano, anzi sembra più una giovane pop star) e scoprirà la verità riguardo Malefica. Alla resa dei conti esisterà il vero amore o come crede Malefica non è che una pura illusione? Da un incontro momentaneo come quello dei due principi può davvero scaturire il vero amore che salverà Aurora? C'è un altro amore, oltre a quello raccontato dalle fiabe, più forte, più autentico, più duraturo?

Il film in sé è piuttosto piacevole: scorre sufficientemente bene, gli effetti speciali sono apprezzabili (non manca un bel drago) e, se prendiamo la curiosa variante di una Malefica più buona, senza offenderci per aver sconvolto il senso della fiaba che conoscevamo, è un film godibile per una serata non impegnata.

Viaggio nel mondo Disney: La Bella Addormentata nel Bosco

Il 16° classico di animazione Disney, uscito nel 1959, è ancora una trasposizione a cartoni di una fiaba di Perrault, come precedentemente Cenerentola: la bella addormentata.

La vicenda è nota e inizia al battesimo della pricipessa Aurora, figlia di re Stefano e della regina Leah. I festeggiamenti, ai quali partecipa tutto il regno, vengono rovinati dalla comparsa della strega Malefica che, risentita per non essere stata invitata, scaglia un incantesimo sulla bambina: crescerà e sarà bella ma, prima che il sole tramonti per il suo sedicesimo compleanno, morirà pungendosi il dito al fuso di un arcolaio.
Un nome, un programma: cattiva tra i cattivi, Malefica rappresenta la più seria e meno caricaturale delle antagoniste. Elegante nelle movenze, mai ridicola, fascinosa, potente, persino bella, ma irremovibile, non si può fare a meno di prenderla sul serio. Un altro cattivo dello stesso spessore, ma del sesso opposto, possiamo ritrovarlo anni dopo in Scar, nel Re Leone.



XIV secolo. Il narratore ci introduce al racconto sulle musiche del balletto della bella addormentata di Pëtr Il'ič Čajkovskij, cantate dalla Berliner Symphoniker.
Mentre al principe Filippo viene presentata la futura sposa bambina e le buone fate offrono i loro doni alla piccola Aurora, Malefica interrompe Serenella, in procinto di pronunciare il suo incantesimo e maledice la piccina, svanendo poi nel nulla.
Re Stefano prende provvedienti per difendere la figlia - far bruciare tutti gli arcolai del regno e cercare Malefica-, ma le fate (Flora, Fauna, Serena), convinte che tutto ciò non basterà, offrono il loro aiuto al re: oltre all'incantesimo di Serenella, che riesce ad attenuare la forza dell'incantesimo, il quale provocherà non la morte ma un sonno duraturo fino a un bacio d'amore, propongono di nascondere la bambina per 16 anni nel folto del bosco, allevata da loro, mascherate da contadine.
Così Aurora cresce nascosta e lontana dai genitori fino al giorno del sedicesimo compleanno. Per tutti questi anni, Malefica aveva fatto cercare la principessa da i suoi scagnozzi per tutto il regno.
Giunti al giorno in cui l'incantesimo deve compirsi non ha ancora ottenuto risultati: il rapporto dei suoi sottoposti rivela che non c'è traccia della bambina in nessun angolo del regno né in nessuna...culla! Malefica scopre dunque che per 16 anni si è cercato nella direzione sbagliata e, dopo aver punito i suoi servi, invia il suo fidato corvo a cercare la sedicenne.


Nel frattempo le tre fate decidono di organizzare una festa a sorpresa ad Aurora per poi dirle addio e riaccompagnarla dai suoi genitori. La mandano con una scusa nel bosco e si cimentano nell'impresa più grande di loro di prepararle una torta e cucirle un vestito senza ricorrere alla magia. Mentre le tre combinano una serie di disastri fino a vedersi costrette a usare la magia, manifestando così la propria presenza al corvo inviato da Malefica, Aurora incontra per caso il principe Filippo. Senza sapere di essere stati fidanzati da bambini, passano un felice pomeriggio e s'innamorano.


Prima di tornare a casa, Aurora invita Filippo ad andare a trovarla più tardi alla capanna, ma, rientrata, le fate le annunciano che quella sera verrà ricondotta al castello dai genitori, che lei è la principessa Aurora, fidanzata al principe Filippo e che non potrà rivedere il ragazzo conosciuto nel bosco. Spiazzata e infelice, la ragazza si rifugia in camera a piangere e continua a piangere quando viene portata al castello per incontrare la sua famiglia, spingendo le fate a lasciarla da sola per un po'. Poco prima del calare del sole, Aurora cade sotto un incantesimo e, ipnotizzata dal potere di Malefica, sale una scala a chiocciola nascosta in una parete fino ad un arcolaio al quale si punge un dito, cadendo addormentata.
Le fate arrivano troppo tardi e trovano l'incantesimo già compiuto. Dispiaciute, prendono la decisione di addormentare tutto il castello e i suoi abitanti e così scoprono re Uberto sussurrare che il figlio, Filippo, gli ha detto nel pomeriggio che non sposerà Aurora perché ha conosciuto quello stesso giorno una contadina di cui si è innamorato. Le fate comprendono dunque l'equivoco e corrono a cercare Filippo, che, come Aurora aveva detto, si era recato alla capanna a cercare la ragazza, trovando però ad aspettarlo Malefica e i suoi brutti troll, che lo catturano e lo portano al castello di Malefica, dove la strega intende tenerlo per 100 anni, impedendo al giovane di salvare la principessa. Le fate si intrufolano nel castello e rintracciano Filippo, liberandolo e fornendogli spada e scudo per sconfiggere Malefica. I quattro fuggono, superando le
guardie della strega, che interviene personalmente trasformandosi in un drago enorme. Filippo, con l'aiuto delle fate, riesce però a uccidere il drago; condotto fino alla torre in cui dorme Aurora, con un bacio la libera dall'incantesimo. Tutto il reame si sveglia, la principessa riabbraccia i genitori e vivrà per sempre felice e contenta.



Apoteosi delle storie d'amore e di principesse, questo film purtroppo non ottenne molto successo all'uscita nei cinema.

Girato, come solo Lilli il Vagabondo prima e Frozen poi, in widescreen, ossia con la visione a schermo totale, fu anche l'ultimo film per cui si impiegarono i rodovetri inchiostrati a mano per il passaggio dai disegni alla celluloide e Disney decise di usare uno stile di disegno originale e diverso da tutte le opere precedenti. Poiché l'ambientazione era medioevale le illustrazioni, i fondali, i personaggi sono più stilizzati che in Biancaneve o Cenerentola, come se si trattasse dei disegni di un testo dell'epoca; allo stesso tempo però, poiché fu usato anche il Technirama 70, cioè l'allargamento del formato 35mm a 70mm, si poterono fornire molti più dettagli alle ambientazioni e Disney nominò responsabile dei disegni e dei colori Eyvind Earle che disegnò la maggior parte dei fondali da solo, creando un effetto di insieme molto particolare e nuovo.

La caratterizzazione dei personaggi compie, come in Biancaneve e Cenerentola, un ribaltamento dei ruoli: la principessa e il principe sono stereotipi e i comprimari gli rubano la scena, sono più simpatici e accattivanti.
Stavolta i giovani principi godono di un senso di ribellione che li rende più dinamici, principalmente Filippo, che è il primo principe a parlare (a differenza dei predecessori) e a prendere parte all'azione, sconfiggendo il drago e la magia della strega.
I sovrani dei due regni, Stefano e Uberto, ci regalano un delizioso siparietto mentre litigano sopra il destino dei propri figli; mentre le tre fate sono le buffe animatrici del cartone: buone, volenterose e pasticcione.
Ma la migliore di tutti i personaggi del film, la più riuscita, è Malefica, superba come Grimilde in Biancaneve, così accattivante da aver conquistato il pubblico Disney e da aver convinto i produttori a dedicarle, 55 anni dopo, un film che intende riabilitarla come buona.