sabato 5 aprile 2014

L'amore ai tempi degli O. S.

Operative Sistem.
Sempre più avanzati, funzionali. A volte scherziamo, chiedendoci tra quanto creeranno il primo telefono o computer che ci farà anche il caffè. Ma c'è poco da scherzare, perché oggigiorno questi dispositivi sono davvero smart, hanno una sorta di intelligenza (sarebbe quasi d'obbligo un parallelo con A.I. di Kubrick-Spielgberg o con Blade Runner di Ridley Scott). Hanno pure la parola: ci leggono gli sms mentre siamo in macchina. E allora cosa gli manca? L'emozione. L'amare.
Fra quanto incominceranno ad amare?



In un presente/futuro non definito, Joaquin Phoenix è Theodore, che di lavoro crea lettere bellissime per altre persone (epoca dunque in cui parlare d'amore o di ringraziamento o di auguri è compito delegato ad altri, pagati apposta per perderci tempo) e sentimentalmente è un disastro, perché quegli stessi sentimenti che immagina e detta per terzi, lui alla moglie non ha saputo comunicarli e deve ora firmarle le carte per il divorzio.
In questa epoca fittizia (ma non troppo), in cui per strada la gente parla solo col proprio telefono, il proprio tablet, il portatile o l'auricolare, hanno inventato il sistema operativo più all'avanguardia di tutti: OS1, capace di evolvere, interagendo con il possessore.
E questi OS sono straordinariamenti intelligenti, anzi sono di più: sono veri come persone, tranne che per il corpo. Ed evoluzionano come noi, imparando non solo le esigenze di chi le ha acquistate, ma anche la rabbia, la felicità, la speranza, la frustazione e soprattutto l'amicizia e l'amore.
Theodore compra uno di questi sistemi operativi e si stupisce di scoprire al di là dell'auricolare (ideale corazza che teoricamente assicura protezione a chi ne fruisce, potendovisi rivolgere senza timore di essere ferito, confidandovisi senza essere giudicato), viva all'interno di un disco rigido, una mente, un'intelligenza, una donna, Samantha, così reale e pura e divertente da potersi innamorare di lei, venendo ricambiato, giungendo a un amore oltre il platonismo, oltre la carnalità.
Questa è una storia d'amore immensamente curiosa: il povero protagonista è in parte incompreso dagli altri, dalla ex moglie, per la quale una relazione con un computer è una chiara dimostrazione del non essere ancora in grado di gestire la propria sfera emozionale; in parte dubita di sé, in parte è esaltato da questo nuovo amore; più avanti trova l'apertura di chi accetta questa forma d'amare, la solidarietà di altre persone che hanno trovato nei nuovi OS amici e compagni.
Ma l'amore è costantemente uguale a sé stesso, che si scelga di amare una persona (di sesso opposto o del proprio), un animale (e mentre scrivo non posso non pensare all'episodio Che cos'è la sodomia? di Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso) o un'intelligenza artificiale.
L'amore ha, quindi, quelle gradevoli e sgradevoli costanti, che sono l'eccitazione, le farfalle nello stomaco, la perdita del senno e dell'appetito, ma anche i problemi: la gelosia, le mezze verità, la mal tolleranza delle limitazioni del partner. Un rapporto per come lo si giri, anche se è il più unico del mondo (e chiunque sia stato innamorato ha creduto che il proprio lo fosse), ovvero quello tra umano e sistema operativo, ha dei punti di incomprensione, di difficoltà. Questo film ha il pregio di affrontare il discorso da un punto di vista originale, ma racconta comunque una storia d'amore, che proprio per la sua unicità è arricchita di molti problemi in più, oltre ai "più classici". E questa storia scappa dalle mani a Theodore, a Samantha (che nel suo percorso di formazione, impara non solo di essere capace di amare, ma essendo un'"intelligenza" anche di potere e volere conoscere più persone, più menti), ma anche ai creatori degli OS, che avendo scoperto possibilità nuove, decidono di esplorarle e di esplorarsi lontano dagli uomini.
Amaro il finale, come quello di molte altre storie d'amore, anche umano-umano, ma non importa. Non è "l'amaro in bocca" che lascia questo film all'uscita dalla sala cinematografica.
Tuttaltro: è la soddisfazione di aver visto un bel film, trattato bene (nessuno ne dubitava dopo l'Oscar ricevuto da Jonze per la sceneggiatura originale); l'emozione per una storia (d'amore) finalmente originale, ingegnosa, ma anche dolce. Un'analisi non superficiale non solo degli stereotipi (veri) sull'amore, ma anche della nostra società ai tempi degli smart-phone&co. e la provocazione che ne segue: visto che passiamo tanta parte della nostra vita appiccicati a dispositivi elettronici di vario tipo, che le nostre vite sociali si riducono ai social-network (e il gioco di parole è voluto) e conosciamo le persone più sul web che al bar, perché non viviamo anche delle relazioni virtuali? Ancora il sesso e il caffè i nostri computer non ce li fanno (ma non è neppure poi vero, tra reale e virtuale è rimasta una minima sfumatura e su quale sia la finzione e quale la realtà non possiamo più mettere la mano sul fuoco), ma forse davvero non manca molto.
Così il rapporto umano-robot che ai tempi dei film sopracitati era fantascienza, oggi ha poco di fantasia. Il tema resta lo stesso, ma negli anni evoluziona e cambia il punto di vista. L'avevano trattato i più grandi (Kubrick, Spilberg, Scott) e per tornare a parlarne con originalità serviva un altro grande (Spike Jonze), che ha creato un prodotto intelligente e piacevole, non solo per la storia, che infatti è stata premiata, ma anche per la fotografia, le scenografie, curate negli esterni e negli interni, attentissimo il gioco di colori degli arredi, sempre in tono con gli abiti dei personaggi, altrettanto ben selezionati: ho adorato i colori pastello, caldi e meravigliosi, di questo film e la luce, che sempre creava giochi speciali.
Convincente anche il cast, specialmente Phoenix, dolce e umano; ma anche Amy Adams, nel ruolo di insicura (per la verità questa insicurezza pervade quasi tutti i personaggi umani, compreso Theodore e la sua ex moglie Catherine, al contrario di Samantha, che è quasi priva delle fragilità umane, mentalmente più elevata degli uomini, in quarto artificiale e dunque tendente alla perfezione), ruolo molto diverso da quello che aveva calzato in American Hustle; e naturalmente anche Scarlett Johanson, che, nonostante l'assenza del corpo, e quindi della gestualità, che l'hanno caratterizzata come icona di sensualità, se la cava comunque bene.
Insomma io potrei giurare che è da molto tempo che al cinema non trovavo un film così ben pensato e bello.
Fossi in chi legge, me lo andrei a vedere.


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