Appena uscita dalla sala cinematografica, l'impressione a caldo su La Grande Scommessa non è delle più positive.
Quest'impressione si deve a quattro punti.
Primo punto. Il film racconta la storia di come il mercato immobiliare americano e il mercato che ci speculava sopra crollò, come sappiamo tutti, nel 2008, portando alla più grossa crisi mondiale dal '29 in poi. Nei tre anni precedenti il crollo alcuni studiosi di economia capirono da certi segnali ciò che sarebbe avvenuto. Predirono che il mercato immobiliare, basato su CDO (obbligazioni di debito collateralizzate), cioè su obbligazioni che si basavano sui debiti di mutui non pagati, sarebbe fallito. Questi economisti che se ne accorsero decisero di scommettere contro il sistema, investendo in CDS
(credit default swap). In parole semplici: se, contro ogni buon senso, il mercato immobiliare fosse fallito davvero, chi aveva investito in queste azioni sarebbe stato ripagato dalle banche. Se avevano ragione, avrebbero vinto, facendo un sacco di soldi.
Il punto focale del film era far capire quanto cinici e disonesti fossero i meccanismi e i protagonisti di questa enorme truffa ai danni di tutti. E, maledizione, ci sono riusciti.
Attraverso gli occhi degli outsiders che specularono sul fallimento dell'economia americana e mondiale, il disgusto per il marciume che viene raccontato sale mentre scorre il film e, all'uscita dalla sala è massimo. Lo sconforto è il sentimento che predomina a caldo, il motivo per cui non piace.
Non è che non piace il film; non piace la storia, perché il seguito è stato drammatico e ancora ci riguarda.
Non è colpa del film se l'argomento è scomodo. Il film riesce benissimo nel suo scopo e quindi è, in verità, un punto a favore. La verità è spiacevole e come si dice nel film, non si ha voglia di farsela raccontare raccontare.
La pellicola si propone di spiegare al pubblico questi complessi meccanismi economici nel modo più accattivante possibile e questo porta a tre sconvenienti, che costituiscono gli altri tre motivi per cui il film non mi è piaciuto.
Secondo punto. Per quanto sia raccontato il più semplicemente possibile, non risulta pienamente chiaro lo stesso. Quantomeno risulta comunque molto faticoso seguire tutti i passaggi. Almeno per me, che l'economia la conosco molto approssimativamente solo da tg ed editoriali. Anche in questo caso non è colpa del film. Solo che racconta meccanismi molto complessi, che ci (mi) fanno percepire tutte le lacune sull'argomento.
Terzo punto. Per aiutare il pubblico a digerire il soggetto, la regia si serve di molti trucchetti (quali inserire scenette di personaggi fuori storia, che rispiegano qualche argomento) e un montaggio super ruffiano che risultano assolutamente irritanti. Più fastidioso ancora lo stile di ripresa, che cambia di continuo lo zoom sui personaggi sulla stessa scena.
Quarto punto. Il montaggio stesso e la regia, che sono i punti forti del film in teoria, entrambi infatti candidati agli Oscar, rallentano molto il ritmo del film, in maniera del tutto inaccettabile. Non esiste nessun motivo per cui un film debba essere lento. E questo è parecchio lento.
Molto valido invece il cast: particolarmente Christian Bale, sempre all'altezza del personaggio, è così camaleontico che può ricoprire qualsiasi ruolo; ancora più bravo, secondo me, Steve Carrel, con un personaggio pìù sfaccettato e complesso; simpatico anche il personaggio di Brad Pitt, anche se meno impegnativo; meno brillante Ryan Goslin; riuscite anche le performance di Jeremy Strong, John Magaro, Finn Wittrock, Hamish Linklater, Rafe Spall. E il cameo di Melissa Leo è strepitoso.
E anche la sceneggiatura è ben strutturata, nonostante il triste soggetto.
domenica 31 gennaio 2016
La Lenta Scommessa
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Waiting Academy Awards: i vincitori del premio SAG
Si è tenuta la notte scorsa la cerimonia di premiazione degli Screen Actors Guild Awards allo Shrine Auditorium di Los Angeles. Avevamo già annunciato i candidati nelle varie categorie, vediamo ora i vincitori.
Il miglior attore e la migliore attrice protagonisti si confermano Leonardo DiCaprio e Brie Larson, già premiati tre settimane fa ai Golden Globes per le performance in Revenant e Room rispettivamente. Forti di queste due statuine, possono presentarsi il 28 febbraio quasi certi del risultato finale.
Per quel che riguarda le attrici, la sorpresa è stata di veder vincere Alicia Vikander,
quando ai Golden Globes aveva vinto Kate Winslet. Le altre "sconfitte" sono Helen Mirren, Rooney Mara e Rachel McAdams. Se, come sempre lo sono stati, i premi SAG sono l'anticamera degli Oscar, viene da pensare che sarà l'attrice di The Danish Girl ad aggiudicarsi l'ultimo e più atteso riconoscimento.
quando ai Golden Globes aveva vinto Kate Winslet. Le altre "sconfitte" sono Helen Mirren, Rooney Mara e Rachel McAdams. Se, come sempre lo sono stati, i premi SAG sono l'anticamera degli Oscar, viene da pensare che sarà l'attrice di The Danish Girl ad aggiudicarsi l'ultimo e più atteso riconoscimento.
Per la categoria maschile vince Idris Elba per Beast of No Nation. Ma Elba non è nominato agli Oscar; esclusione molto polemizzata, soprattutto da parte di Spike Jonze, che ha rimproverato all'Academy l'assenza di molti afroamericani che avrebbero meritato almeno il nome nell'elenco degli aspiranti vincitori. Oltre a Elba, Will Smith per Zona d'Ombra e il giovane Ryan Coogler, che ha firmato la brillante regia di Creed.
Forse proprio per far fronte a queste polemiche o a compensare la loro esclusione piovono statuine in testa agli attori afroamericani in questa ventiduesima edizione dei SAG. La politica a volte ha inciso molto nei premi cinematografici, rischiando errori diplomatici. Potrebbe esserci un risentimento anche per l'eccesso di premi. I vincitori che vado a elencare sono attori splendidi, ma si potrebbe pensare che il riconoscimento arrivi solo a placare quest'ondata di polemiche. Siamo nel 2016, ma ancora il tema razziale è un punto delicato e rischia di surriscaldare gli animi.
Idris Elba vince anche nella sezione tv per Miglior Attore nella miniserie drammatica Luther e le migliori attrici, sia tra le serie drammatiche, sia commedia, sia nella miniserie comica sono Viola Davis (Le regole del delitto perfetto), Uzo Aduba (Orange is the New Black) e Queen Latifah (Bessie).
Non era nominato ai SAG invece il vincitore dei Globes, Sylvester Stallone.
Stallone è tra i candidati agli Oscar, è vero, ma la performance in Creed, per quanto migliore rispetto alla sua media, non è abbastanza valida, come dimostra appunto la sua assenza nella serata appena conclusa.
Come pronosticare dunque un vincitore per questa categoria alla cerimonia del Dolby Theatre?
L'attenzione potrebbe spostarsi su Christian Bale, Tom Hardy, Mark Ruffalo e Mark Rylance.
Tra questi solo Bale e Rylance erano candidati a tutti e quattro i premi dell'anno. La scelta finale potrebbe ridursi a loro due, ma le sorprese sono dietro l'angolo e questa sezione diviene la più interessante da seguire quest'anno!
Tra questi solo Bale e Rylance erano candidati a tutti e quattro i premi dell'anno. La scelta finale potrebbe ridursi a loro due, ma le sorprese sono dietro l'angolo e questa sezione diviene la più interessante da seguire quest'anno!
Infine la serata vede il riconoscimento di Miglior Cast al Caso Spotlight e di Migliori Stantmant al pirotecnico Mad Max: Fury Road.
Abbiamo rammentato qualche premio televisivo, chiudiamo la rassegna.
Migliori Cast per una serie drammatica e per una serie comica vanno rispettivamente a Downton Abbey e a Orange is the New Black.
I migliori attori sono Kevin Spacey, per la drama serie House of Cards, e Jeffrey Tambor nella comedy serie Transparent. Manca il premio alle migliori controfigure, che va allo staff di Game of Thrones.
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venerdì 22 gennaio 2016
Il Ponte delle Spie, quando una firma è una certezza
Ti accomodi in sala. Parte il film. Prime scene. E sei grato.
Grato della scelta che hai fatto.
E grato a Steven Spielberg.
Inquadrature iniziali, prime sequenze e finalmente torni a vedere un regista vero. Uno che ha girato così tanti film, che ha passato una vita intera a occuparsi di cinema e si vede.
Nessuna scelta innovativa, nessuna rivoluzione tecnica, nessuna sensazionale sorpresa, ma la più pura, pulita, classica lezione di regia. Magistrale. Tecnicamente perfetta. Eccola lì, schietta e semplice, ma appagante.
E poi il cast, che cast!!! Da pensare che avrebbe meritato una nomination (non arrivata però) ai SAG Award nella categoria apposita. Subito incontri personaggi comprimari o secondari che ti fanno pensare: "facce da Spielberg" (brutti visi, grossi attori, che sanno interpretare gente vera).
Guerra Fredda. Il film si apre su Mark Rylance, che del film non è protagonista, ma che buca lo schermo nell'istante stesso in cui appare.
Il suo ruolo è quello della spia russa Rudolf Abel, beccato dalla CIA (che non riesce però a scucirgli alcuna informazione né a ottenerne la collaborazione) in territorio americano. Perché Abel è un uomo estramamente coerente e ligio al senso del dovere: è un russo che lavora per la grande madre patria e che intende rimanere fedele al suo paese quale che sia il costo.
In poche scene Rylance ci chiarisce la statura morale del suo personaggio, contrapposto a tutti gli altri soggetti che ci troveremo davanti. Su questo alla fine ruota il film: sulla differenza che sta tra sbandierare i buoni ideali di casa propria e vestirli in ogni occasione, a favore o contro. Rylance fa innamorare del proprio personaggio, fa tifare fin dal principio per lui, con un'interpretazione stupenda, che gli ha valso infatti la candidatura come migliore attore non protagonista a Golden Globe (unica categoria in cui -ingiustamente- era candidato il film), BAFTA (gli inglesi sono molto più generosi, con 9 nomination), SAG e Oscar (6 nomine).
Dopo l'arresto si decide che al poveretto, accusato di spionaggio, tradimento, etc, venga fatto un processo il più trasparente ed equo possibile, perché il mondo (e la Russia) si faccia un'idea della democrazia e della giustizia che regnano negli Stati Uniti.
E viene scelto, per difendere la spia, un avvocato che si occupa in modo assai scaltro di assicurazioni, ma non più di cause penali. La patata bollente finisce nelle mani di Tom Hanks-James B. Donovan, tutt'altro che contento di dover diventare un "traditore" anche lui agli occhi dell'America. Meno contento di lui, la sua famiglia.
Spinto però dalla giustezza del compito, infine accetta e finisce per difendere il suo cliente con molta convinzione e il meglio che può fare davanti a una giuria, a un giudice e soprattutto a un'opinione pubblica che ritiene il processo già superfluo, poiché Abel è una spia russa e tanto basta a fargli meritare la sedia eletttrica.
Ma la sollecitudine di Donovan lo porta non solo a difendere il suo operato davanti a giudice, corte, famiglia e Stati Uniti in virtù della Costituzione, che deve tutelare anche Abel perché gli Stati Uniti devono essere i più giusti, ma anche a intercedere presso il giudice, una volta appurato che il suo assistito sarebbe sicuramente stato dichiarato colpevole, affinché la condanna fosse all'ergastolo e non a morte, non tanto con le motivazioni "della cosa più giusta da fare" quanto del fatto che una spia da scambiare un giorno avrebbe potuto far comodo.
Guarda caso, qualche tempo più tardi viene catturato dai russi un pilota-spia che aveva il compito di fare foto ai territori nemici, atterrato in territorio sovietico dopo che il suo aereo era stato abbattuto. La decisione quindi di salvare la vita ad Abel, contestatissima a suo tempo, si rivela una fortunata occasione per riprendersi il proprio pilota. A mediare lo scambio, per ragioni diplomatiche, è scelto ancora una volta James Donovan, che dovrà recarsi a Berlino Est e affrontare diversi ostacoli: Hanks-Donovan infatti non vuole accontentarsi di riportare a casa solo il pilota, ma vorrebbe togliere dai guai anche un giovane studente americano che si era trovato nel momento sbagliato dalla parte sbagliata del muro in costruzione, finendo arrestato dalla neonata Repubblica Democratica Tedesca (DDR).
Il film è molto piacevole: non pesante, scorre benissimo nonostante la lunghezza, col ritmo giusto; essenziale ogni scena e ciascuna realmente godibile. Un film tanto ben fatto è un piacere per gli occhi, le orecchie e la mente.
Sono straordinarie fotografia (di Janusz Kaminski) e colonna sonora (firmata Thomas Newman). Curatissima e intrigante la sceneggiatura, non a caso scritta, oltre che da Matt Charman, anche dai fratelli Coen. Belle le scenografie, i costumi, la resa del periodo, bello tutto.
E, come già detto, la regia è perfetta (e non se ne poteva dubitare) e il cast è giustissimo in ogni componente.
Hanks è sopra la media come sempre. Il personaggio di Donovan gli calza come un guanto.
La vera perla resta però Rylance. L'interpretazione è da Oscar.
Detto tutto questo, la sorpresa è la scarsità di candidature che il film ha raccolto ai vari premi di quest'anno.
Escluso Rylance, che è stato giustamente nominato nella sua categoria (Miglior Attore Non Protagonista) a ognuno dei premi, poiché ignorarlo sarebbe stato un oltraggio al cinema, un dispetto alla bella arte della recitazione, il film non pare essere apprezzato, almeno in America.
Ma come? Un film così Americano?
No. Questo è il punto: non è un film "così tanto americano". L'unico personaggio che realmente incarna il buonismo e gli ideali della nazione, stavolta, è quello di Hanks (si veda il primo clip allegato).
Gli altri personaggi (il giudice, l'agente della CIA che compare nel video, l'uomo che addestra i piloti-spie, etc.) pur di servire la causa della Nazione rinnegano i valori costituzionali: la giustizia americana è sulla loro bocca (va difeso Abel) ma non nelle loro azioni (sì, ma solo di facciata: in realtà vogliamo sembrare belli mentre cerchiamo di estorcergli più informazioni possibili e comunque è già condannato prima del processo).
Questa è una denuncia e non l'esaltazione classica dell'americano democratico, che c'è nel film, ma solo nel personaggio di Donovan, che si trova nemico il suo stesso popolo, che lo disprezza perché difende la spia, la sua famiglia, i russi e i tedeschi al momento del negoziato e gli uomini del governo americano e della CIA, che non vogliono che faccia di testa sua. E invece Hanks fa esattamente tutto ciò che si ritiene in dovere di fare, seguendo solo i suoi principi, contro tutto quello che gli imporrebbero di fare. L'eroe tipicamente Hanksiano-Spielberghiano.
L'unica persona che stima il coraggio e la coerenza di Jim Donovan è proprio la spia russa. Il rispetto e la fiducia di Abel va tutto
al suo avvocato e il rapporto che si crea tra i due nel film è quasi commovente.
La figura della spia finisce per essere innalzata, come esempio di rettitudine e lealtà, sopra le figure degli altri personaggi, sopra gli americani: l'agente Hoffmann, il pilota Powell soprattutto, che ci si affanna tanto a riprendere, ma che in realtà il governo avrebbe preferito fosse morto prima di finire in mano ai russi e creare tanto lavoro. Nel Ponte delle Spie un comunista finisce per essere meglio dipinto di qualunque personaggio americano.
Ai Golden Globes il film viene quasi del tutto ignorato, a parer mio proprio perché il suo "antipatriottismo" è piaciuto poco.
Agli Oscar però si aggiungono le candidature a Miglior Film, Sceneggiatura Originale, Miglior Scenografia, Colonna Sonora e Sonoro.
Meno di parte, forse, gli inglesi: ai BAFTA, oltre a queste sei nomination, sono candidati anche la Regia (secondo me molto giustamente), la Fotografia e il Montaggio.
Bella differenza tra Globes e BAFTA, per i quali il film risulta il più rappresentato nel maggior numero di categorie (alla pari con Carol), a conferma del fatto che questo è un capolavoro di film, curato in tutti i suoi aspetti come solo Spielberg sa fare.
Grato della scelta che hai fatto.
E grato a Steven Spielberg.
Inquadrature iniziali, prime sequenze e finalmente torni a vedere un regista vero. Uno che ha girato così tanti film, che ha passato una vita intera a occuparsi di cinema e si vede.
Nessuna scelta innovativa, nessuna rivoluzione tecnica, nessuna sensazionale sorpresa, ma la più pura, pulita, classica lezione di regia. Magistrale. Tecnicamente perfetta. Eccola lì, schietta e semplice, ma appagante.
E poi il cast, che cast!!! Da pensare che avrebbe meritato una nomination (non arrivata però) ai SAG Award nella categoria apposita. Subito incontri personaggi comprimari o secondari che ti fanno pensare: "facce da Spielberg" (brutti visi, grossi attori, che sanno interpretare gente vera).
Guerra Fredda. Il film si apre su Mark Rylance, che del film non è protagonista, ma che buca lo schermo nell'istante stesso in cui appare.
Il suo ruolo è quello della spia russa Rudolf Abel, beccato dalla CIA (che non riesce però a scucirgli alcuna informazione né a ottenerne la collaborazione) in territorio americano. Perché Abel è un uomo estramamente coerente e ligio al senso del dovere: è un russo che lavora per la grande madre patria e che intende rimanere fedele al suo paese quale che sia il costo.
In poche scene Rylance ci chiarisce la statura morale del suo personaggio, contrapposto a tutti gli altri soggetti che ci troveremo davanti. Su questo alla fine ruota il film: sulla differenza che sta tra sbandierare i buoni ideali di casa propria e vestirli in ogni occasione, a favore o contro. Rylance fa innamorare del proprio personaggio, fa tifare fin dal principio per lui, con un'interpretazione stupenda, che gli ha valso infatti la candidatura come migliore attore non protagonista a Golden Globe (unica categoria in cui -ingiustamente- era candidato il film), BAFTA (gli inglesi sono molto più generosi, con 9 nomination), SAG e Oscar (6 nomine).
Dopo l'arresto si decide che al poveretto, accusato di spionaggio, tradimento, etc, venga fatto un processo il più trasparente ed equo possibile, perché il mondo (e la Russia) si faccia un'idea della democrazia e della giustizia che regnano negli Stati Uniti.
E viene scelto, per difendere la spia, un avvocato che si occupa in modo assai scaltro di assicurazioni, ma non più di cause penali. La patata bollente finisce nelle mani di Tom Hanks-James B. Donovan, tutt'altro che contento di dover diventare un "traditore" anche lui agli occhi dell'America. Meno contento di lui, la sua famiglia.
Spinto però dalla giustezza del compito, infine accetta e finisce per difendere il suo cliente con molta convinzione e il meglio che può fare davanti a una giuria, a un giudice e soprattutto a un'opinione pubblica che ritiene il processo già superfluo, poiché Abel è una spia russa e tanto basta a fargli meritare la sedia eletttrica.
Ma la sollecitudine di Donovan lo porta non solo a difendere il suo operato davanti a giudice, corte, famiglia e Stati Uniti in virtù della Costituzione, che deve tutelare anche Abel perché gli Stati Uniti devono essere i più giusti, ma anche a intercedere presso il giudice, una volta appurato che il suo assistito sarebbe sicuramente stato dichiarato colpevole, affinché la condanna fosse all'ergastolo e non a morte, non tanto con le motivazioni "della cosa più giusta da fare" quanto del fatto che una spia da scambiare un giorno avrebbe potuto far comodo.
Guarda caso, qualche tempo più tardi viene catturato dai russi un pilota-spia che aveva il compito di fare foto ai territori nemici, atterrato in territorio sovietico dopo che il suo aereo era stato abbattuto. La decisione quindi di salvare la vita ad Abel, contestatissima a suo tempo, si rivela una fortunata occasione per riprendersi il proprio pilota. A mediare lo scambio, per ragioni diplomatiche, è scelto ancora una volta James Donovan, che dovrà recarsi a Berlino Est e affrontare diversi ostacoli: Hanks-Donovan infatti non vuole accontentarsi di riportare a casa solo il pilota, ma vorrebbe togliere dai guai anche un giovane studente americano che si era trovato nel momento sbagliato dalla parte sbagliata del muro in costruzione, finendo arrestato dalla neonata Repubblica Democratica Tedesca (DDR).
Il film è molto piacevole: non pesante, scorre benissimo nonostante la lunghezza, col ritmo giusto; essenziale ogni scena e ciascuna realmente godibile. Un film tanto ben fatto è un piacere per gli occhi, le orecchie e la mente.
Sono straordinarie fotografia (di Janusz Kaminski) e colonna sonora (firmata Thomas Newman). Curatissima e intrigante la sceneggiatura, non a caso scritta, oltre che da Matt Charman, anche dai fratelli Coen. Belle le scenografie, i costumi, la resa del periodo, bello tutto.
E, come già detto, la regia è perfetta (e non se ne poteva dubitare) e il cast è giustissimo in ogni componente.
Hanks è sopra la media come sempre. Il personaggio di Donovan gli calza come un guanto.
La vera perla resta però Rylance. L'interpretazione è da Oscar.
Detto tutto questo, la sorpresa è la scarsità di candidature che il film ha raccolto ai vari premi di quest'anno.
Escluso Rylance, che è stato giustamente nominato nella sua categoria (Miglior Attore Non Protagonista) a ognuno dei premi, poiché ignorarlo sarebbe stato un oltraggio al cinema, un dispetto alla bella arte della recitazione, il film non pare essere apprezzato, almeno in America.
Ma come? Un film così Americano?
No. Questo è il punto: non è un film "così tanto americano". L'unico personaggio che realmente incarna il buonismo e gli ideali della nazione, stavolta, è quello di Hanks (si veda il primo clip allegato).
Gli altri personaggi (il giudice, l'agente della CIA che compare nel video, l'uomo che addestra i piloti-spie, etc.) pur di servire la causa della Nazione rinnegano i valori costituzionali: la giustizia americana è sulla loro bocca (va difeso Abel) ma non nelle loro azioni (sì, ma solo di facciata: in realtà vogliamo sembrare belli mentre cerchiamo di estorcergli più informazioni possibili e comunque è già condannato prima del processo).
Questa è una denuncia e non l'esaltazione classica dell'americano democratico, che c'è nel film, ma solo nel personaggio di Donovan, che si trova nemico il suo stesso popolo, che lo disprezza perché difende la spia, la sua famiglia, i russi e i tedeschi al momento del negoziato e gli uomini del governo americano e della CIA, che non vogliono che faccia di testa sua. E invece Hanks fa esattamente tutto ciò che si ritiene in dovere di fare, seguendo solo i suoi principi, contro tutto quello che gli imporrebbero di fare. L'eroe tipicamente Hanksiano-Spielberghiano.
L'unica persona che stima il coraggio e la coerenza di Jim Donovan è proprio la spia russa. Il rispetto e la fiducia di Abel va tutto
al suo avvocato e il rapporto che si crea tra i due nel film è quasi commovente.
La figura della spia finisce per essere innalzata, come esempio di rettitudine e lealtà, sopra le figure degli altri personaggi, sopra gli americani: l'agente Hoffmann, il pilota Powell soprattutto, che ci si affanna tanto a riprendere, ma che in realtà il governo avrebbe preferito fosse morto prima di finire in mano ai russi e creare tanto lavoro. Nel Ponte delle Spie un comunista finisce per essere meglio dipinto di qualunque personaggio americano.
Ai Golden Globes il film viene quasi del tutto ignorato, a parer mio proprio perché il suo "antipatriottismo" è piaciuto poco.
Agli Oscar però si aggiungono le candidature a Miglior Film, Sceneggiatura Originale, Miglior Scenografia, Colonna Sonora e Sonoro.
Meno di parte, forse, gli inglesi: ai BAFTA, oltre a queste sei nomination, sono candidati anche la Regia (secondo me molto giustamente), la Fotografia e il Montaggio.
Bella differenza tra Globes e BAFTA, per i quali il film risulta il più rappresentato nel maggior numero di categorie (alla pari con Carol), a conferma del fatto che questo è un capolavoro di film, curato in tutti i suoi aspetti come solo Spielberg sa fare.
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mercoledì 20 gennaio 2016
Nomination ai SAG Awards
Elenco dei candadati al primo e più atteso (per avere un pronostico più certo per gli Oscar, poiché chi vince il SAG di solito vince l'Oscar) premio di categoria, gli Screen Actors Guild Awards, annunciati il 9 dicembre 2015. La premiazione si svolgerà il 30 gennaio.
Migliore attore protagonista
Bryan Cranston (Trumbo)
Johnny Depp (Black Mass)
Leonardo DiCaprio (The Revenant)
Michael Fassbender (Steve Jobs)
Eddie Redmayne (The Danish Girl)
Migliore attrice protagonista
Cate Blanchett (Carol)
Brie Larson (Room)
Helen Mirren (Woman in Gold)
Saoirse Ronan (Brooklyn)
Sarah Silverman (I Smile Back)
Migliore attore non protagonista
Christian Bale (La grande scommessa)
Idris Elba (Beasts of No Nation)
Mark Rylance (Il ponte delle spie)
Michael Shannon (99 Homes)
Jacob Tremblay (Room)
Migliore attrice non protagonista
Rooney Mara (Carol)
Rachel McAdams (Il caso Spotlight)
Helen Mirren (Trumbo)
Alicia Vikander (The Danish Girl)
Kate Winslet (Steve Jobs)
Miglior cast
Beasts of No Nation
La grande scommessa
Il caso Spotlight
Straight Outta Compton
Trumbo
Le Nomination agli Oscar 2016
Sono state annunciate nel nostro primo pomeriggio (primo mattino nel "Nuovo Mondo") del 14 gennaio le candidature per i premi Oscar che saranno assegnati il prossimo 28 febbraio a Los Angeles, nella cerimonia che si terrà come sempre al Dolby Theatre e che sarà presentata da Chris Rock. Di seguito le candidature. Nei prossimi articoli saranno elencate anche le nomination ai Premi di Categoria e ai Bafta.
Miglior film
La grande scommessa (Adam McKay)
Il ponte delle spie (Steven Spielberg)
Brooklyn (John Crowley)
Mad Max: Fury Road (George Miller)
The Martian (Ridley Scott)
The Revenant (Alejandro González Iñárritu)
Room (Lenny Abrahamson)
Il caso Spotlight (Tom McCarthy)
Miglior regia
Lenny Abrahamson
Alejandro González Iñárritu
Tom McCarthy
Adam McKay
George Miller
Miglior attore protagonista
Bryan Cranston (Trumbo)
Matt Damon (The Martian)
Leonardo DiCaprio (The Revenant)
Michael Fassbender (Steve Jobs)
Eddie Redmayne (The Danish Girl)
Miglior attrice protagonista
Cate Blanchett (Carol)
Brie Larson (Room)
Jennifer Lawrence (Joy)
Charlotte Rampling (45 Years)
Saoirse Ronan (Brooklyn)
Miglior attore non protagonista
Christian Bale (The Big Short)
Tom Hardy (The Revenant)
Mark Ruffalo (Il caso Spotlight)
Mark Rylance (Il ponte delle spie)
Sylvester Stallone (Creed)
Miglior attrice non protagonista
Jennifer Jason Leigh (The Hateful Eight)
Rooney Mara (Carol)
Rachel McAdams (Il caso Spotlight)
Alicia Vikander (The Danish Girl)
Kate Winslet (Steve Jobs)
Migliore sceneggiatura originale
Matt Charman, Joel ed Ethan Coen (Il ponte delle spie)
Alex Garland (Ex Machina)
Josh Cooley, Ronnie del Carmen, Pete Docter e Meg LeFauve (Inside Out)
Tom McCarthy e Josh Singer (Il caso Spotlight)
Andrea Berloff, Jonathan Herman, S. Leight Savidge e Alan Wenkus (Straight Outta Compton)
Migliore sceneggiatura non originale
Charles Randolph e Adam McKay (La Grande Scommessa)
Nick Hornby (Brooklyn)
Phyllis Nagy (Carol)
Drew Goddard (The Martian)
Emma Donoghue (Room)
Miglior film straniero
El abrazo de la serpiente di Ciro Guerra (Colombia)
Mustang di Deniz Gamze Ergüven (Francia)
Il figlio di Saul di László Nemes (Ungheria)
Theeb di Naji Abu Nowar (Giordania)
A War di Tobias Lindholm (Danimarca)
Miglior film d'animazione
Anomalisa (Charlie Kaufman e Duke Johnson)
Il bambino che scoprì il mondo (Alê Abreu)
Inside Out (Pete Docter e Ronnie del Carmen
Shaun, vita da pecora - Il film (Mark Burton e Richard Starzak)
Quando c'era Marnie (Hiromasa Yonebayashi)
Miglior fotografia
Ed Lachman (Carol)
Robert Richardson (The Hateful Eight)
John Seale (Mad Max: Fury Road)
Emmanuel Lubezki (The Revenant)
Roger Deakins (Sicario)
Miglior scenografia
Rena DeAngelo, Bernhard Henrich e Adam Stockhausen (Il Ponte delle Spie)
Michael Standish e Eve Stewart (The Danish Girl)
Colin Gibson e Lisa Thompson (Mad Max: Fury Road)
Celia Bobak e Arthur Max (The Martian)
Jack Fisk e Hamish Purdy (The Revenant)
Miglior montaggio
Hank Corwin (La Grande Scommessa)
Margaret Sixel (Mad Max: Fury Road)
Stephen Mirrione (The Revenant)
Tom McArdle (Il caso Spotlight)
Maryann Brandon e Mary Jo Markey (Star Wars: Il Risveglio della Forza)
Miglior colonna sonora
Thomas Newman (Il Ponte delle Spie)
Carter Burwell (Carol)
Ennio Morricone (The Hateful Eight)
Jóhann Jóhannsson (Sicario)
John Williams (Star Wars: Il Risveglio della Forza)
Miglior canzone
Earned It di Tesfaye, Balshe, Quenneville, Moccio (Cinquanta sfumature di grigio)
Manta Ray di J. Ralph e Antony Hegarty (Racing Extinction)
Simple Song #3 di David Lang (Youth - La giovinezza)
Til It Happens to You di Diane Warren e Lady Gaga (The Hunting Ground)
Writing's on the Wall di Jimmy Napes e Sam Smith (007 - Spectre)
Migliori effetti speciali
Mark Williams Ardington, Sara Bennett, Paul Norris e Andrew Whitehurst (Ex Machina)
Andrew Jackson, Dan Oliver, Andy Williams e Tom Wood (Mad Max: Fury Road)
Anders Langlands, Chris Lawrence, Richard Stammers e Steven Warner (The Martian)
Richard McBride, Matt Shumway, Jason Smith e Cameron Waldbauer (The Revenant)
Chris Corbould, Roger Guyett, Paul Kavanagh e Neal Scanlan (Star Wars: Il Risveglio della Forza)
Miglior sonoro
Andy Nelson, Gary Rydstrom e Drew Kunin (Il Ponte delle Spie)
Chris Jenkins, Gregg Rudloff e Ben Osmo (Mad Max: Fury Road)
Andy Nelson, Christopher Scarabosio e Stuart Wilson (Star Wars: Il Risveglio della Forza)
Paul Massey]], Mark Taylor e Mac Ruth (The Martian)
Jon Taylor, Frank A. Montaño, Randy Thom e Chris Duesterdiek (The Revenant)
Miglior montaggio sonoro
Mark Mangini e David White (Mad Max: Fury Road)
Alan Robert Murray (Sicario)
Matthew Wood e David Acord (Star Wars: Il Risveglio della Forza)
Oliver Tarney (The Martian)
Martin Hernandez e Lon Bender (The Revenant)
Migliori costumi
Sandy Powell (Carol)
Sandy Powell (Cenerentola)
Paco Delgado (The Danish Girl)
Jenny Beavan (Mad Max: Fury Road)
Jacqueline West (The Revenant)
Miglior trucco e acconciatura
Lesley Vanderwalt, Elka Wardega e Damian Martin (Mad Max: Fury Road)
Love Larson e Eva Von Bahr (Il centenario che saltò dalla finestra e scomparve)
Sian Grigg, Duncan Jarman e Robert A. Pandini (The Revenant)
Miglior documentario
Amy (Asif Kapadia)
Cartel Land (Matthew Heineman)
The Look of Silence (Joshua Oppenheimer)
What Happened, Miss Simone? (Liz Garbus)
Winter on Fire: Ukraine's Fight for Freedom (Evgeny Afineevsky)
Miglior cortometraggio documentario
Body Team 12 (David Darg e Bryn Mooser)
Chau, Beyond The Lines (Courtney Marsh e Jerry France)
Claude Lenzmann: Spectres Of The Shoah (Adam Benzine)
A Girl In The River: The Price Of Forgiveness (Sharmeen Obaid-Chinoy)
Last Dat Of Freedom (Dee Hibert e Jones Nomi Talisman)
Miglior cortometraggio
Ave Maria (Basil Khalil)
Day one (Henry Huges)
Everything will be ok (Patrick Vollrath)
Shock (Jamie Donoughue)
Stutterer (Benjamin Cleary e Serena Armitage)
Miglior cortometraggio d'animazione
Bear Story (Gabriel Osorio Vargas)
Prologue (Richard Williams)
Sanjay's super team (Sanjay Patel)
We can't live without cosmos (Konstantin Bronzit)
World of tomorrow (Don Hertzfeldt)
martedì 19 gennaio 2016
Macbeth, un aborto di buone intenzioni
Uscito nelle sale italiane il 5 gennaio, il film era annunciato da un trailer estremamente incoraggiante sulle qualità del prodotto che invitava ad andare a vedere.
Purtroppo però, Macbeth è stata un'esperienza abbastanza deludente.
Le prime scene del film sono promettenti. Oniriche.
Il funerale del figlio piccolo di MacBeth e signora. Le scene della battaglia tra gli stanchi uomini di Re Duncan, guidati da Macbeth, barone di Glamis, e l'esercito di Macdonwald, il ribelle che ha tradito il re di Scozia. Le inquadrature sono bellissime, straordinarie scenografia e fotografia.
Il regista sceglie un'alternanza tra scene a velocità normale, con gli uomini che gridano e corrono verso il nemico, e scene in sospensione, estrapolate dalla battaglia affinché sia la musica a renderne la drammacità. Scelta non proprio originalissima e neanche del tutto riuscita. Se ne apprezza però l'intenzione di voler rinnovare l'opera Shakespeariana con questa scelta di una fotografia potente e bellissima e di un montaggio se non avanguardista, quantomeno fresco, odierno.
Decisione che pare in contrasto con le scene che seguono: l'incontro con le tre (che in verità nel film sono quattro e divengono poi cinque) Sorelle Fatali, Re Duncan che decide di premiare Macbeth per la vittoria, nominandolo Barone di Cowdor, la discussione tra il protagonista e il compagno Banquo, gli inviati del re che portano a Macbeth il suo nuovo titolo. Dialoghi Shakespeariani. Nell'inglese di William Shakespear, reso in un doppiaggio italiano che lo rappresentasse il più fedelmente possibile. Uno strano mix che accoppia una tecnica di oggi a un ritmo molto lento, più lento del ritmo del testo testrale (soporifero dati gli effetti sulla sala) e una sceneggiatura che vorrebbe essere classica ma perde invece quello che avrebbe voluto e dovuto tenere dell'opera originaria.
Estenuante arrivare alla fine del primo tempo: il convincimento dell'eroe a divenire antieroe per adempiere al fato che le Streghe gli avevano annunciato e ai suoi stessi desideri di assecondarlo, sulla spinta di Lady Macbeth, che si fa serpente e lo incoraggia a cogliere la mela che lo porterà alla dannazione (ed è qui che il film si guasta); l'assassinio di Duncan e la fuga del principe Malcom.
Un po' meglio il secondo tempo: si salva il finale sul campo di battaglia, che torna a essere godibile grazie alla fotografia e alle scelte sceniche; lo scontro con McDuff e il compimento delle profezie delle Sorelle (che funziona grazie alla meraviglia del testo di Shakespeare, non tanto per gli autori del film); meno convincente l'ultima scena con la contrapposizione tra Malcom e Flaer, figlio di Banquo.
Ma il film s'inceppa anche nel secondo tempo. Non sulle scene di azione, ma sui dialoghi, che non colgono mai la vera anima dei personaggi e del testo.
Per quanto capaci gli interpreti, i veri coniugi Macbeth sono quasi fraintesi.
Galleggia sulla sufficienza Macbeth, forse grazie a Fassbender, che dà un'ottima prova di sé. Molto peggio va a Lady Macbeth, trattata malissimo non tanto da Marion Cotillard (bravissima, anche se un po' uguale a sé stessa nelle ultime interpretazioni prestate) quanto da chi ha deciso di farle recitare prima la donna assetata di potere, priva di scrupoli, poi la pentita che inorridisce davanti alle azioni del marito, infine la pazza, senza però lasciare capire il tormento dell'anima peccatrice, la dannazione che le porta l'omicidio che l'opera originale sapeva ispirare.
Snaturati. Non tanto i personaggi secondari, verso i quali giustamente siamo portati a tifare; ma i personaggi principali vengono appena scalfiti, tratteggiati, senza che se veda l'anima. Senza che li si possa amare o capire fino in fondo. E forse è questo che fa fallire il film e abortire la spinta innovatrice che si proponeva di dare.
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lunedì 11 gennaio 2016
Golden Globes 2016: un nuovo anno di cinema
Fate largo ad Alejandro Iñárritu e al
suo cinema folle e audace, che tutto accetta, purché ne valga la pena, se si tratta di realizzare un capolavoro,
poiché, come ha dichiarato il regista:
"la sofferenza ha una durata limitata, mentre un film rimane per sempre".
Per settimane, durante le riprese di
Revenant, sono giunte le inquietanti notizie delle condizioni
limite a cui cast e troupe erano esposti per girare il nuovo film del
regista messicano. Pazzo, completamente pazzo -abbiamo onestamente
pensato- il signor Iñárritu; e anche il povero Leonardo, che pur di
arrivare alla famosa statuetta dell'Academy, da sempre negata
all'attore americano, sembra disposto a condividere l'estrema visione
di Iñárritu e a sostenere prove fisiche non da poco.
E nella notte scorsa, i due
protagonisti di questa folle impresa cinematografica si sono visti
riconoscere il valore del loro lavoro, portando a casa tre delle
statuette in palio in questa edizione dei Golden Globes.
Revenant vince come Miglior Film
Drammatico e vince anche la Regia e DiCaprio si aggiudica la
statuetta del Miglior Attore in un film drammatico, mentre la Miglior
Commedia, non si sa sulla base di quale criterio riconosciuta come
tale, si rivela essere The Martian, il cui protagonista, Matt
Damon, vince da Miglior Attore in una commedia appunto.
I premi per le Migliori Attrici vanno
invece a Brie Larson per l'angosciante Room e a Jennifer
Lawrence (quarta nomination, terza vittoria ai Globes e ha solo 25
anni) per la commedia Joy.
I migliori attori non protagonisti sono
Kate Winslet (Steve Jobs), protagonista però di un abbraccio
chiaccheratissimo col compagno di avventure Leonardo DiCaprio, e, per
la sorpresa di tutti, Sylvester Stallone (nell'attesa di vederlo
recitare ancora il ruolo di Rocky in Creed, in uscita in
Italia giovedì), a coronamento forse della lunga carriera del suo
alter-ego pugile.
Terzo anno di fila che vede il nostro
paese rappresentato all'estero nel Cinema. Dopo aver portato a casa Golden
Globe e Oscar nel 2014 per il film straniero con La Grande
Bellezza di Paolo Sorrentino e dopo che Milena Canonero ha vinto
per i Migliori Costumi agli Oscar dell'anno scorso, torniamo
protagonisti grazie alla figura di Ennio Morricone, universalmente
riconosciuto come uno dei migliori compositori che il cinema abbia
mai avuto, come Tarantino, che ritira in sua vece il Golden Globe, gli riconosce. Il regista, che amava i film di Leone per
i quali Morricone ha sempre firmato le musiche, lo ha voluto
fortissimamente per fargli scrivere la colonna sonora del suo western The Hateful Eight. E lo ha ottenuto. E noi siamo lieti di
questa collaborazione.
La Migliore Canzone è invece Writing's
on the Wall di Sam Smith e Jimmy Napes, contenuta nel nuovo film
di 007, Spectre.
Gli ultimi premi per il Cinema sono
quello alla Migliore Sceneggiatura, che Aaron Sorkin vince per Steve
Jobs, che dunque si aggiudica due statuette, proprio come il
fantascientifico film di Ridley Scott; al Miglior Film d'Animazione,
che si rivela essere Inside Out (Disney Pixar); e al Miglior Film
Straniero, che ritira il giovane regista di Son of Saul, l'ungherese
Làszlò Nemes.
Breve carrellata per i premi
televisivi, che meno hanno a che vedere con questo blog, la cui
autrice nutre però un vivo interesse per il giovane talento Oscar
Isaac, che negli ultimi anni si sta particolarmente distinguendo in
molte pellicole (recentemente lo abbiamo visto nel VII° episodio di
Star Wars, nei panni del pilota Poe Dameron, ma era stato
prima il Principe Giovanni di Ridley Scott e il protagonista del film
Inside Llewyn Davis dei fratelli Coen), e che ha appena vinto
il suo primo (e speriamo non ultimo) Golden Globe, nella categoria
Miglior Attore in una mini-serie tv (Show Me a Hero); nella
controparte femminile dello stesso premio vince invece Lady Gaga, che
ormai non s'improvvisa più attrice, ma si fa notare per la
mini-serie American Horror Story: Hotel.
Le migliori Serie tv sono Mr. Robot
e Mozart in the Jungle rispettivamente nella categoria
drammatica e commedia; Wolf Hall viene proclamata, invece, la
migliore mini-serie.
E adesso non ci resta che aspettare il
30 gennaio, quando saranno assegnati gli Screen Actors Guild Awards,
attesissimi per farci un'idea ancora più precisa di chi saranno i
futuri attori vincitori della prossima edizione degli Oscar, per i
quali saranno annunciate le candidature questo giovedì.
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