La stessa idea di mostrare la produzione degli Studios fu di Benchley, che la espose a Disney dopo aver fatto un breve tour degli stessi ambienti in cui si disegnavano e si montavano i cartoni, quando presentò il corto del sovrappeso, poetico, drago blu.
Questo prodotto non ha mai avuto una diffusone o una fama paragonabili ai Classici più conosciuti, fenomeno spiegabile sia per la forma originale di produzione (la tecnica mista, l'assenza di un filo connettore tra episodi sconnessi e infatti "confezionati" anche singolarmente, al contrario di Fantasia, che era comunque un'organica antologia musicale), sia per la tarda edizione -esclusivamente cinematografica- italiana: non uscì prima del 1951 e in vhs furono rilasciati solo gli episodi Come andare a cavallo e Il Drago Riluttante; non ebbe, però, maggiore fortuna nemmeno negli Stati Uniti.
Nel 1941, però, Walt Disney investì anche su un altro progetto, che ebbe molto più successo: la storia dell'elefantino dalle gigantesche orecchie, che commosse il mondo.
Dumbo è il piccolo elefante che viene consegnato alla signora Jumbo, in viaggio con le compagne sul treno Casimiro, da una simpatica Cicogna Fattorino un po' in ritardo, data l'impaziente attesa che l'elefantessa dimostra la notte precedente, quando altri cuccioli, nei loro fagotti bianchi, raggiungono la destinazione accanto ai felici genitori.
Il caratteristico difetto fisico del piccino è subito scoperto: due enormi orecchie a sventola, che provocano l'ilarità e i maligni commenti delle altre acide elefantesse.
Solo la madre ignora l'aspetto insolito del figlio e, felicissima, lo riempie di attenzioni e coccole, facendogli il bagnetto e giocando con lui a nascondino.
Madre e figlio vengono però presto separati: una folla di persone visita il circo e le gabbie degli animali e alcuni ragazzi prendono di mira le orecchie a sventola di Dumbo, che diventano, una volta di più, oggetto di scherno, causando però la reazione della madre che, per proteggere il figlio, scaccia via uno dei ragazzi, provacando il panico e l'intervento degli uomini del circo, che la legano e la isolano in una gabbia a cui affiggono i cartelli "danger" e "mad elephant".
Dumbo si ritrova solo, esposto alla cattiveria del mondo (quella dei ragazzi, quella degli uomini del circo, quella degli elefanti). Ancora una volta un cartone Disney che racconta una realtà triste, ma possibile, vera.
Il direttore e i clown del circo pensano solo al modo migliore di utilizzarlo negli spettacoli: la piramide di elefanti (destinata a crollare quando Dumbo inciampa nelle sue stesse orecchie), il tuffo dal palazzo incendiato, da un'altezza prima di 6 metri poi di 1000, poiché -immaginano i clown- maggiore l'altezza, maggiori le risate e il successo dello show e, di conseguenza, il salario. Torna, dunque, anche il tema a cui si accennava in Pinocchio: lo sfruttamento animale e del mondo dello spettacolo in genere, che si nota anche all'arrivo del circo nella nuova tappa, quando gli animali sono costretti a montare sotto la pioggia le tende e poi a sfilare e a esibirsi.
Non sono però, le figure degli uomini, intenzionalmente cattive: il loro è un non essere attenti a cosa provano gli animali, non attenti al diverso, effettivamente.
"Gli elefanti non sentono nulla!"..."Sono come di gomma!"
La filmografia Disney è famosa per la costruzione di antagonisti ben fatti, a volte più riusciti dei personaggi principali, e le elefantesse di Dumbo sono dei cattivi coi fiocchi, perfide solo per il gusto di esserlo. Queste non solo non si preoccupano di cosa ne sarà di Dumbo, ma nemmeno si riguardano nello spettegolare malignamente sulla madre del piccino accanto a lui, accanto a "quel piccolo mostriciattolo" e, dopo la sua "discesa sociale", dopo che lo rendono clown, non esitano a dichiarare di non considerarlo nemmeno un elefante. Ecco un'altra prospettiva sul diverso, inteso stavolta in senso sociale: meglio evitare, emarginare chi è più sfortunato, meglio non frequentare chi potrebbe degradare la nostra immagine.
Disney elabora dunque una maniera molto sottile e astuta di parlare del tema, di ricordarci di non giudicare per le apparenze e anche di guardare piuttosto ai nostri lati scuri: grossa critica a coloro che, vuoti dentro, invidiosi e maligni, invece di riflettere sulla propria pochezza, sono pronti a giudicare e soppesare chi è diverso da loro.
Unico a provare compassione per il piccolo Dumbo e a schierarsi in sua difesa è un piccolo, furbo, simpatico topino, che alla fine del film, fotografato nell'atto di firmare un contratto, scopriamo si chiama Timoteo. Prima spaventa le elefantesse, poi suggerisce al direttore del circo, dormiente, di fare di Dumbo una star, infine accompagna il cucciolo dalla madre.
Personalmente credo che questa scena, in cui la madre dietro le sbarre abbraccia e culla il figlio con la proboscide sia la più triste e patetica di tutta la produzione disneyana. Sfido chiunque ad affermare di non essersi mai commosso nel vederla. Questa è la più orribile di tutte le ingiustizie che Disney ha concepito per i suoi film: l'allontanemento di un figlio dalla madre, l'impossibilità dei due di stare insieme. Chi potrebbe non piangere vedendo il tenerissimo Dumbo, deriso, orfano, con i grandi occhioni tristi, seguire il suo unico amico, tenendogli la coda con la proboscide?
La canzone Bimbo mio fu anche candidata all'Oscar come miglior canzone; non vinse, ma vinse invece la colonna sonora.
Una scena molto celebre di questo cartone animato è lo spaventoso trip che hanno Dumbo e Timoteo, dopo aver bevuto per sbaglio troppa birra da una botte: l'elefantino, in preda al singhiozzo, emette bolle che diventano elefanti rosa che danzano, suonano, si trasformano. In sottofondo una canzone che ricorda il delirium tremens (le terribili allucinazioni che si manifestano nelle crisi di astinenza da alcol). Tra l'altro è proprio l'elefante rosa il logo della famosa birra belga, Delirium Tremens. Il messaggio è chiaro: non solo non accettare mele dalle sconosciute, insomma, ma neanche assumere qualcosa senza essere certi di cosa si tratti.
Al risveglio da questo trip, Dumbo e Timoteo si scoprono su un albero. Ad assistere alla scena sono alcuni corvi che, in principio, deridono anch'essi l'elefantino e l'idea del topino che, tutto sommato, fossero saliti sull'albero volandoci grazie alle orecchie di Dumbo, poi, commossi e spinti dal discorso di Timoteo,
Dovreste vergognarvi di voi stessi: dei tipi grandi e grossi come voi prendervela con un orfanello come lui!vergognandosi di sé stessi davvero, decidono di aiutarli, fornendo a Dumbo l'elemento magico che lo convincerà delle sue possibilità di volare.
Che direste se vi avessero strappati alla mamma quando eravate ancora in fasce! Nessuno per rincalzarvi la sera! Non più una dolce e calda proboscide per accarezzarvi!
Vi piacerebbe essere lasciati soli, in un mondo crudele, freddo e senza cuore? E perché? Rispondete, perché? Solo perché ha le orecchie così grosse l'hanno definito un mostro, l'hanno messo in ridicolo al circo e quando sua madre cercò di proteggerlo, l'hanno rinchiusa in una gabbia. E come se non bastasse hanno fatto di lui un clown, socialmente rovinato!
Ma a che serve parlare a voi uccelli dal cuore nero? Avanti, divertetitevi! Deridetelo! Colpite, non può difendersi! Avanti!
Ed ecco che il difetto fisico diviene invece vantaggio, soluzione per permettere a Dumbo di superare il tuffo dai 1000 metri che gli preparano i clown e di ascendere socialmente, diventando davvero stella del circo e consentendo alla madre di essere liberata: suggerimento di sfruttare le proprie doti e di non arrendersi se non si riesce in qualcosa; di applicarsi nel campo giusto; di trovare soluzioni con le possibilità che abbiamo, senza lasciarci affliggere da un difetto, da una capacità mancante; prenderla come un'opportunità di sfidarci in qualcosa di diverso. Un bel messaggio rivolto ai più sfortunati da parte di un uomo che sfidò il mondo per produrre lungometraggi d'animazione, quasi un'utopia: non arrendetevi, dimostrate al mondo che valete e che potete diventare grandi.
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