Bambi offre una bellissima rappresentazione della Natura, della foresta, dipinta con toni a tratti cupi, a tratti luminosi, anche con bruschi passaggi, come nella scena della pioggia che da Pioggerella di Primavera (come dice la canzone) passa al temporale estivo con lampi e tuoni, risaltati dallo stesso sonoro (candidato, insieme alla colonna sonora e a L'amore è una canzone agli Oscar). Una concezione della Natura nel senso romantico di sublime, grande, selvaggia, meravigliosa, ma anche terribile.
Eppure, com'è giusto che sia in un cartone, anche con una vena ironica, che si manifesta nella buffa descrizione dei personaggi della foresta nella prima scena: lo scoiattolo che torna a coprirsi nel sonno con la coda della mamma, gli uccellini neonati che si litigano la frutta portata dalla madre, il topino che si lava il viso con una goccia di rugiada, l'Amico Gufo, burbero, svegliato dagli altri animali che si recano a vedere il Principino appena nato. L'istintiva tenerezza che ispirano l'espressione timida di quest'ultimo, il suo traballare incerto sulle zampe, cercando di mettersi in piedi per la prima volta, lo rendono già simpatico eroe della storia. Questa è, a tutti gli effetti, una storia di formazione: dalla nascita, alle prime esperienze (i primi passi, le prime parole "uccellini, farfalla, fiore", la prima volta sulla neve e sul ghiaccio con l'amico Tamburino, improvvisandosi pattinatori pasticcioni -disegnati con riferimento a Jane Randalph e Donna Atwood, ice capades-, e nella prateria, luogo dei pericoli che presto conoscerà) sotto la guida della madre che, però, morirà circa a metà film, fino a diventare adulto.
Per questo Bambi è così famoso, impresso nell'immaginario collettivo come orfano, il primo della storia Disney. Ma anche il primo cartone in cui si affronta esplicitamente la morte, dunque forse il più terribile. Anche in Biancaneve e Pinocchio si era sfiorato il concetto, ma era quasi un incantesimo, un sogno da cui ci si risveglia o, nel caso di Grimilde, una punizione meritata. In Bambi, per la prima volta, il senso di perdita non è temporaneo, ma un peso col quale convivere tutta la vita, un indelebile amaro momento che segnerà la rottura con l'infanzia; di più, qua la morte è immeritata e ingiusta, non in seguito a malattia o vecchiaia né cercata con azioni riprovevoli, sfidando il rischio irresponsabilmente, ma gratuita e violenta e questo è veramente molto forte per i bambini, ai quali per la prima volta si spiega la morte con un cartone animato (naturale che abbiano paura di vederlo).
Come precedentemente Dumbo, i protagonisti di questo lungometraggio animato sono animali, in quella che già abbiamo definito una rappresentazione molto reale della Natura, molto più approfondita e veritiera che nel precedente cartone animato, dato che Disney tenne in modo particolare a che i disegni si ispirassero al vero: i disegnatori ricevettero consigli dal pittore Rico LeBrun, studiarono gli animali nello zoo di Los Angeles e una coppia di cervi dalla coda bianca (sarebbero dovuti essere caprioli, la specie protagonista del romanzo Bambi, storia di un capriolo dell'austriaco Felix Salten, ma essendo questi assenti negli Usa, si preferì sostituirli con una specie più conosciuta) furono portati negli Studios appositamente per gli studi dal vivo degli animali (qualcosa di simile accadde successivamente anche per il Re Leone) e il disegnatore Maurice Day trascorse alcune settimane nelle foreste dell'est tra Vermont e Main per studiare l'ambientazione.
Dunque un film in cui non compare l'uomo (in Dumbo, come raccontato altrove, http://ilcinemadigiulia.blogspot.com.es/2014/03/viaggio-nel-mondo-disney-draghi-poeti.html, invece, questo ha una sua importanza), salvo naturalmente il cacciatore, che però non si vede, ma solo se ne intuisce la sinistra presenza e, proprio per questo suo non definirsi, quasi a dire "l'uomo nero", alludendo quindi a qualcosa di malvagio, è tanto spaventoso (specie per i bambini, per cui rimane davvero un "boogieman", collegato alla morte della mamma di Bambi).
"C'era l'Uomo nella Foresta."
E tanto basta. Con queste sole parole si racconta il cattivo più spaventoso della filmografia Disney, peggiore di Grimilde e della riuscitissima e carismatica Malefica, che almeno avevano un volto. Paradossalmente l'Uomo no, è privato di questi connotati che lo avrebbero reso più umano, meno irreale e minaccioso, bestiale e senza pietà, allusione al pericolo più grave, a cui non si scampa.
Nella lista dei migliori 100 eroi e cattivi della celebre AFI's 100 Years, l'Uomo di Bambi figura alla ventesima posizione tra i 50 cattivi. Anche le disneyane colleghe Grimilde e Crudelia De Mon compaiono rispettivamente alla decima e trentanovesima, a convalidare la fama della Walt Disney per la creazione di cattivi validissimi anche tra i cartoni animati (e io avrei aggiunto anche l'agghiacciante giudice Morton di Chi ha incastrato Roger Rabbit, interpretato da uno stupendo Christopher Lloyod).
Anche se, forse, non il più cattivo in senso assoluto: come ho sostenuto per Dumbo, anche le elefantesse si dimostrano cattive straordinarie, intrise di una perfidia fine a sé stessa; non emblema di morte -come gli uomini per l'animale- naturalmente, ma di una cattiveria gratuita, volta solo a far soffrire l'altro, quasi una tortura psicologica, ma non per questo meno spregevole; la soddisfazione nel godere nella disgrazia altrui, da cui questi esseri traggono forza.
Naturalmente sono due cattivi diversi, accezioni differenti del Male.
E i due film vogliono portare due messaggi distinti, importanti entrambi.
In Bambi sono le conseguenze dell'Uomo nella Natura, raccontate attraverso la storia del dolce cerbiatto.
Passano i giorni felici dell'estate per il piccolo, coccolato da una madre attenta e affettuosa, arriva l'inverno, preceduto dall'autunno, in cui le foglie cadono danzanti come già in Fantasia; poi il freddo, la fame, che spinge madre e figlio a essere incauti, a uscire nella prateria per cercare la prima erba.
Siamo al momento più terribile del film. La madre si accorge di qualcosa, incita il figlio a fuggire. Ancora una volta la musica esalta l'emozione (sarà a questa musica che si ispirò la famosa colonna sonora de Lo Squalo), stavolta l'angoscia della corsa, delle grida della cerva, che perdiamo di vista. Solo quando Bambi arriva alla tana, si accorge che la mamma non c'è. E la chiama. La cerca nella foresta. Ma si imbatte solo nel padre, nel Principe della Foresta, le cui parole, che annunciano la disgrazia, rimarranno nella mente dello spettatore bambino come le più spaventose mai udite:
"La tua mamma non tornerà mai più."
Questo allora l'effetto dell'Uomo. Questa la sola traccia che lasciamo nella Natura: gli spari e il fuoco. Questo ciò che lasciamo permeare di noi nell'ambiente. Distruzione e morte. L'Uomo è cattivo nella sua entità, nel suo essere (umano), creatura distaccata senza possibilità di ritorno dal resto della Natura, dagli altri animali graziosi e simpatici, naive come Bambi e Fiore, mentre al contrario noi siamo calcolatori, brutti, terrorifici: mostri.
Dunque Bambi è un film "ambientalista", una denuncia dell'opera umana che turba un equilibrio altrimenti perfetto.E infatti l'immagine del cerbiatto fu adottata nelle campagne ambientaliste antincendio, subito dopo l'uscita del film (Disney accordò il suo utilizzo per un anno) e poi di nuovo nel 2006, all'uscita del seguito, Bambi 2. E ancora, fugace cameo, madre e figlio compaiono nel cortometraggio Paperino: la stagione di caccia, nella scena in cui la cerva esorta il figlio ad allontanasi, data la presenza dell'Uomo che ha inquinato il torrente con i suoi rifiuti e si prepara alla caccia.
Ancora una volta non solo una bella storia che commuove (e spaventa), ma uno sviluppo di temi molto importanti attraverso il colore, attraverso l'avventura, attraverso l'animazione, che è pura magia, non solo per i bambini, ma anche per gli adulti; è insegnare i veri valori ai più piccini, ma anche ricordarli a chi è veramente responsabile, a chi può fare; è provocazione, che portò, infatti, a Disney tante critiche (specie delle associazioni di cacciatori), che non aiutarono a vendere il film alla sua uscita, avvenuta nel pieno della Seconda Guerra Mondiale, tanto che anche stavolta l'industria Disney perse denaro e ricominciò a guadagnare solo con la riedizione del 1947.
Che fortuna per gli spettatori e sognatori, di ieri e di oggi, che Walt abbia continuato a credere nei suoi progetti, nel grande sogno di fare cartoni animati, che fortuna che mai si sia arreso nonostante gli scarsi guadagni e le critiche dei primi anni!
Ma quest'opera è anche divulgazione e lo è attraverso una forma di espressione nuova e creativa e, soprattutto, bella, attraverso un altro linguaggio, diverso dalla parola, potente solo come l'immagine e la storia raccontata, che coinvolge, emoziona e rimane -passata, presente e futura testimone di un pensiero e di un idea- e quindi è arte.
Divertente la versione animale dell'Innamoramento che s'impadronisce degli animali, sulle note della Canzoncina Primaverile, o, meglio detto, Rincitrullulimento, fenomeno raccontato dall'Amico Gufo come un racconto di paura; ma anche la raffigurazione del potere femminile di ammaliare, che esercitano le rispettive compagne di Fiore, Tamburino e Bambi (fascino più esasperato nella coniglietta, già archetipo a cartoni della femme fatale, prima ancora di Jessica Rabbit).
Ma torniamo al percorso di formazione di Bambi. Il piccolo se ne va col padre. Cosa gli accade nei mesi che trascorre sotto la guida del Principe della Foresta non è dato sapere, anche se è tema del midquel Bambi 2, che uscirà 64 anni dopo l'originale, nel 2006, con disegni molto belli, anche se profondamente diversi da quelli del primo film, una colonna sonora che parte dall'originale, arricchita di nuove, brillanti canzoni, ma con una trama (il rapporto padre-figlio, la crescita di Bambi, il superamento della condizione di orfano) un po' banale e forzata, nell'ottica della storia del primo Bambi. Spiacevole anche il doppiaggio. Potete evitarlo.
A primavera però fa ritorno tra gli amici, che non l'avevano più visto (anche se nel film del 2006 pare il contrario). Adesso è irriconoscibile, cresciuto, con un bel palco di corna, ma anche maturato, come dimostrerà presto. E per prima cosa s'innamora. Di Faline, l'amica d'infanzia. E questo lo porta al suo primo scontro con un altro maschio (in Bambi 2 si fa risalire la rivalità tra i due cervi all'infanzia, dando un'origine al cerbiatto Ronno, che così non è un estraneo al momento del duello). Ancora una volta l'accoppiata sonoro-disegni (le sagome buie dei due maschi che lottano, cadono, si rialzano, tra zampate e colpi di corna su un fondale arancio) è stupenda.
Bambi ha la meglio e, maestoso come il padre, vincitore, si staglia sulla rupe da cui cade lo sconfitto.
Ma Bambi dovrà fronteggiare presto un'altra prova: la tranquilla vita con Faline (che il film celebra con la dolce Io canto per te) è di nuovo messa in pericolo dall'uomo, che torna a cacciare nella foresta. Gli animali si nascondono. La tensione è altissima: una tortora perde la testa a causa della paura -il paragone non può che essere con un film horror- e, uscita allo scoperto troppo presto, è la prima vittima. Si scatena il panico e la fuga degli animali. Bambi ha raggiunto il padre che lo informa dell'uomo e della necessità di scappare, ma è separato da Faline, inseguita da feroci cani da caccia. Riesce a trovarla e ad allontanare da lei le bestie, ma viene ferito. Poi giunge il fuoco. Bambi è sfinito, ma su esortazione del Principe della Foresta, raccoglie le forze necessarie per mettersi in salvo, con gli altri animali, sulla riva di un fiume.
Bambi si dimostra dunque all'altezza del padre: ha imparato a combattere, a difendere la compagna, a essere forte e responsabile davanti al pericolo e alle difficoltà, guida per gli altri animali della foresta. Lasciato alle spalle il cucciolo indifeso per cui tutto il mondo ha pianto, è "uomo" (inteso come maturità) e Principe della Foresta; è padre, adesso, e guiderà il nuovo Principino. Il cerchio della vita non si ferma mai.
Avvertenze: il doppiaggio originale italiano del 1948 (quello delle vhs prodotte dall'inizio -1992- al 2005), seppure con alcune storpiature rispetto al doppiaggio americano (viene "normalizzata" la parola rincitrulloliti e l'Amico Gufo dichiara che parlava di Bambi a degli amici, non a sé stesso, ma soprattutto il Principe della Foresta, annunciando al figlio la morte della madre, alla famosa frase già citata aggiunge "L'uomo l'ha portata via. Devi essere coraggioso. Devi imparare a vivere da solo"), a mio giudizio è superiore, per le canzoni originali e per i doppiatori di pregio, specie Olinto Cristina come Amico Gufo, a quello di vent'anni dopo (1968), che è registrato sulle vhs e dvd dal 2005. Questione di gusti.
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