Folle, folle, folle Di Caprio, protagonista del pazzesco, brillante, ritmato film di Martin Scorsese (del quale sappiamo che l'attore è il pupillo) che firma una regia straordinaria.
Se non dovesse fare i conti con Alfonso Cuaròn, che, più che favorito, è dato per vincitore certo, Scorsese meriterebbe davvero un nuovo Oscar.
Il regista racconta l'ascesa al successo e la discesa agli inferi di Jordan Belfort, spregiudicato broker della New York degli anni '90.
Scene forti, evocative descrivono in modo semplice e immediato, con ritmo incalzante tutto il mondo fatto di corruzione, sesso, droga e denaro di Wall Street.
Di Caprio è semplicemente straordinario. A narrarci la storia è la sua stessa voce, poiché la sceneggiatura di Terence Winter deriva direttamente dall'autobiografia, quasi naive nella sua onestà, di Belfort.
Incantatore, venditore, drogato, sesso dipendente, ambiziossimo, pochi scrupoli, niente morale, l'interprete incarna il personaggio ed è incredibile mattatore di tre ore di film, regalandoci, probabilmente, la migliore recitazione della sua carriera. Colpevole senza appello, Di Caprio (o forse Belfort?) è così conquistatore da farci essere indulgenti nei suoi confronti: senza un briciolo di vergogna confessa tutte le sue deplorevoli colpe, quasi a chiedere: "è illegale, ok, ma cos'ho fatto di male?"
Il film è candidato a cinque premi Oscar: film, regia, sceneggiatura non originale, attore non protagonista (Jonah Hill è lo stretto collaboratore di Belfort, Donnie Azoff, ma su questa nomination, personalmente, ho delle perplessità: buona performance, ma non particolarmente brillante) e, naturalmente, miglior attore protagonista. Di Caprio ha fortemente voluto questo film, di cui è stato insistente produttore e geniale protagonista. Quest'anno l'Oscar è d'obbligo. Non ci sono scuse.
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